lunedì 27 agosto 2012

Comunicato MIZ su Savio Beach


Il Movimento Impatto Zero, nel merito della vicenda Savio Beach, sostiene che un bene pubblico così unico e prezioso come la golena naturale del fiume Savio non possa subire ipotesi di sfruttamento commerciale se non tramite un adeguato percorso partecipativo dei cittadini.

Evitiamo di accodarci con chi sostiene: "non abbiamo visto il progetto, non si possono esprimere opinioni", in quanto i dati che abbiamo suggeriscono come un progetto in realtà già esista, crediamo non venga reso noto ora per evitare di coinvolgere i cittadini nel processo decisionale. Il comitato Savio Beach, di cui anche il MIZ fa parte integrante, intende adoperarsi per rimuovere questa distorsione di democrazia.

Fin dal 2010, è stato dato affidamento al consorzio di bacino (ex genio civile) la realizzazione di uno studio preliminare (ben 400.000 euro messi a bilancio) comprendente in forma esplicita interventi che si spiegano esclusivamente con il desiderio di offrire ai privati una occasione di remunerazione, come l'installazione di paratie mobili per trasformare quel tratto di fiume in un lago di pesca sportiva e l'installazione di "gradoni" per “attività ricreative” (leggi spiaggette prendisole).

Il consorzio di bacino, dovrebbe essere interessato esclusivamente alla regimentazione dell'assetto idrogeologico del fiume e al suo mantenimento in condizioni di fruibilità senza pericoli di inondazioni da piene. Fornire ad esso indicazioni esplicite sul suo sfruttamento commerciale (così da avere un nullaosta) fa pensare che il progetto savio beach esista già, tenuto in cassetto fino alla sua presentazione definitiva.

Al contempo, l'amministrazione vocifera di bandi di gara, selezioni di idee, progetti da valutare, che riteniamo siano solo fumo negli occhi. Da quanto ne sappiamo, il progetto è quello dell'imprenditore Aldini (che ha recentemente sponsorizzato, guarda caso, una tre giorni di festa sul fiume), che con la formula del project-financing si appresta a trasformare il tratto di fiume dal ponte vecchio al ponte nuovo (800 metri) in uno spazio privato da valorizzare (il solito eufemismo). Questo  non può che significare ristorantini, barrettini, spiaggette, pesca sportiva, praticello all'inglese, ombrelloni, magari pedaggio di ingresso.

Il progetto dovrebbe essere presentato ufficialmente a metà ottobre, in occasione del momento di incontro con i cittadini che si terrà al palazzo del capitano, quindi appare evidente l'effetto "show"... ovvero mettere i cittadini di fronte al fatto compiuto, marketing insomma. Privatizzare un territorio demaniale pubblico in realtà non è cosa semplice, occorre concedere i diritti di superficie, temiamo che per anticipare la direttiva Bolkestein occorra farlo subito, altrimenti ci sarà l'obbligo di andare a gara sul serio.

Quali sarebbero i corrispettivi offerti dai privati in cambio dell'uso commerciale della golena del fiume ?
  1. Rimborso delle spese di progettazione preliminare già sostenute (400.000 euro)
  2. Spostamento degli attuali scarichi a monte del pt.Vecchio fino ad arrivare a valle del pt.Nuovo
  3. Installazione a valle del pt.Nuovo di un tratto di fitodepurazione per gli scarichi fognari
A fronte di una privatizzazione così spinta di un bene naturale, alla collettività sembra arrivare poco, perché spostare gli scarichi 800 metri più a valle serve solo alla balneabilità di quel tratto, il vantaggio ambientale sarebbe davvero minimo.

Per tali motivazioni, il Movimento Impatto Zero si opporrà al progetto denominato Savio Beach.

Paolo Marani
Movimento Impatto Zero

N.B. Immagine di Pier Paolo Turchi, consigliere comunale di Cesena e noto appassionato di fotografia di luoghi in attesa di essere "riqualificati"

sabato 16 giugno 2012

Che il comune non paghi per smaltire acqua


Il trattamento della frazione organica, separata all'origine, sia con raccolta stradale che con raccolta differenziata, si paga a peso.

Appena entrato all'interno del'impianto di trattamento (compostaggio o digestione anaerobica) il camion carico di organico viene pesato e una volta scaricato l'organico nella fossa lo stesso mezzo viene ripesato all'uscita: la differenza di peso corrisponde all'organico conferito e in base al prezzo pattuito (circa 80 euro a tonnellata) viene emessa una fattura a carico del Comune.

E' riconosciuto come la caratteristica, e un problema, della frazione organica è di avere un alto grado di umidità (di acqua) compreso tra il 45% e il 65%. Insomma su 1.000 chili di "organico fresco", tra 450 e 650 chili sono fatti di sola acqua.

Dovrebbe essere una questione di buon senso evitare di trasportare, conferire agli impianti e pagare per il trattamento di tutta quest'acqua! La raccolta differenziata dell'organico, permette di ridurre drasticamente la quantità di acqua presente negli scarti raccolti, senza consumare energia, riducendo in proporzione i costi di trasporto e trattamento.

Il segreto? Usare per lo stoccaggio domestico cestelli areati e idonei sacchetti compostabili e traspiranti.

Oggi, il mercato offre due tipi di sacchetti compostabili per la raccolta della frazione organica: quelli fatti con bio-polimeri e quelli fatti con carta riciclata. Con qualche attenzione, possono anche essere riutilizzati i sacchetti di carta per il pane.

Un piccolo consiglio ai Comuni che si apprestano a organizzare la raccolta porta a porta dell'umido: nella gara di appalto date la preferenza al sacchetto che garantisca la più elevata traspirazione, ossia la perdita di umidità (acqua) per evaporazione a temperatura ambiente.

Prove condotte dalla Scuola Agraria di Monza hanno ampiamente dimostrato che è la carta il materiale più traspirante, che permette una riduzione del peso dell'organico di oltre il 30% nei sette giorni che normalmente intercorrono, dal momento in cui l'organico è messo nel suo mastellino areato nel sotto lavello, fino al momento in cui il camion adibito al suo trasporto è pesato nel centro di compostaggio.

Nell'ipotesi che venissero usati solo sacchetti di carta, 1000 chili di organico separati all'origine, diventano 700 chili, sulla bilancia dell'impianto. Prima della raccolta Porta a Porta dell'organico, i 1000 chili messi in sacchetti di plastica impermeabili restavano 1000 chili al conferimento. Quindi se prima pagavano 90 euro per il conferimento dell'organico indifferenziato in discarica, oggi potremmo pagare 56 euro per la quantità di organico "secco" realmente conferito all'impianto di compostaggio.

Nei conti è opportuno anche valutare il fatto che un "organico" più secco, puzza molto meno dell'organico "bagnato".

martedì 22 maggio 2012

Tutta la burocrazia del fotovoltaico


Quando ho letto questo post di Ugo Bardi sono rimasto sbalordito, ingenuamente convinto come ero che l'avanzata dei piccoli impianti fotovoltaici (inferiori ai 3KWp) fosse stata favorita negli anni dallo snellimento sistematico delle procedure burocratiche. Daltronde, la tecnologia è diventata affidabile e a buon mercato, oggi un comune impianto da installare sul tetto della propria abitazione può comodamente costare meno di 2500€ / KWp chiavi in mano, quindi alla portata di (quasi) tutti. Ebbene, mi sbagliavo, queste sono ancora le medievali vicende di chi si avvicina a questo investimento, e che rende di fatto impossibile il "fai da te" pur acquistando materiale perfettamente certificato e installato a regola d'arte.


Il faticoso percorso burocratico per la realizzazione di un piccolo impianto fotovoltaico è la dimostrazione di come in Italia burocrazia e rinnovabili siano ormai un binomio indissolubile. Nonostante la montagna di documenti da produrre e iter defatiganti oggi nel nostro Paese ci sono quasi 350mila impianti fotovoltaici. Come si è riusciti ad arrivare a questi risultati? Leggete fino in fondo questo interessante, utile e paradossale viaggio nella burocrazia e forse lo capirete.
Il signor Rossi decide di installare 3 kWp sul tetto della propria abitazione. Deve presentare il titolo abilitativo. E allora si inizi il viaggio con le autorizzazioni comunali.
Ogni Comune ha una propria regola e ovviamente una propria modulistica; oneri amministrativi diversi per non meglio precisati diritti di segreteria, diverse tempistiche e modalità di richiesta e di rilascio.
C’è spesso una notevole confusione nell’interpretare le linee guida nazionali sulle fonti rinnovabili e sul tipo di autorizzazione/abilitazione effettivamente idonea al tipo di impianto e di installazione da effettuare. Per esempio la CIL (Comunicazione Edilizia Libera) e titolo abilitativo “tipo” per una piccola installazione a uso domestico e che per legge dovrebbe potere essere presentata “anche per via telematica” (se solo i Comuni fossero TUTTI muniti di Pec che, sempre per legge, dovrebbero avere…) viene spesso complicata da esosissime richieste di documentazioni di ogni genere. Trattandosi di una “comunicazione che non richiede risposta” non si capiscono l’esigenza e la logica della presentazione di tali aggravi documentali.
Nel link “Rinnova” reperibile sul sito del GSE sono facilmente rintracciabili le vari tipologie di titoli autorizzativi/abilitativi necessari all’installazione di ogni tipologia di impianto. Perché i Comuni non vengono indirizzati al sito del GSE per la consultazione?
Se ci addentriamo nei meandri di tipologie di impianti leggermente più complicati, ci imbattiamo in una serie di Autorizzazioni più o meno originali che spaziano dalla SCIA (Segnalazione Certificata Inizio attività) alla PAS (Procedura Abilitativa Semplificata) alla DIA (Dichiarazione Inizio Attività). Veramente un percorso complicato e di difficile gestione da parte sia dei Comuni che dei tecnici che, troppo spesso, si ritrovano a perdere ore e ore nel drammatico tentativo di interpretare le logiche distorte di tecnici comunali che, persi nella non chiarezza delle direttive … interpretano a proprio modo.
Nel caso di vincoli di qualsiasi genere la situazione si complica oltremodo e occorre presentare ulteriore documentazione alle Sovrintendenze che impiegano tempi lunghissimi per esprimere il proprio parere. Spesso sfavorevole o con originali richieste.
Ma torniamo al Signor Rossi. Il suo tecnico è stato bravo e ha quindi presentato tutte le documentazioni e può quindi passare allo step successivo.
Il Comune che ha accettato la presentazione della CIL dovrà ora rilasciare un documento nel quale attesti che essa è “titolo idoneo” all’installazione dell’impianto. Un vero controsenso nel caso di edilizia libera, ma anche in tutti gli altri casi. Tra l’altro i Comuni hanno deciso di fare pagare il rilascio di questo documento attribuendone i costi all’apertura di una relativa istruttoria che in realtà non ha ragione alcuna di venire aperta. Crediamo che ogni commento in proposito sia assolutamente superfluo.
Questo rende impossibile per un comune cittadino districarsi da solo in questa selva oscura di carte, bolli e incertezze ed è quindi costretto a rivolgersi a un tecnico specializzato e molto agguerrito e da solo, questo, potrebbe essere sufficiente a demoralizzare buona parte dei  clienti e degli stessi tecnici.
Ma andiamo avanti. Superato il primo scoglio delle abilitazioni/autorizzazioni ci troviamo a fronteggiare il gestore di rete (spesso ENEL Distribuzione SPA, ma non sempre).
ENEL/Ente gestore della rete. La procedura ENEL/gestore di rete è composta di tre passaggi:
1) richiesta di preventivo (mediamente 4 documenti) si invia mediante posta elettronica certificata / portale Enel / raccomandata e serve per ottenere un semplice sopralluogo (che spesso non viene neppure fatto soprattutto quando la potenza dell’impianto è inferiore alla potenza già disponibile del cliente). Ovviamente questa richiesta si paga e molto: per i nostri 3 kWp sono 121 € iva compresa.
2) A seguito del sopralluogo (o non sopralluogo) viene rilasciata la TICA ovvero il preventivo di connessione vero e proprio che deve essere accettato dal cliente pagando ovviamente il corrispettivo relativo (altri 121 € ) .
Possiamo ora installare l’impianto FV da 3 kWp del nostro eroe. Ma per farlo funzionare il nostro gestore di rete dovrà allacciarlo.
3) Installato e allacciato, ora l’impianto è funzionante. Siamo a posto? Nemmeno per sogno. Dobbiamo tenerlo staccato perché ancora è necessario inviare un’altra decina di documenti al gestore di rete affiché venga a montare i gruppi di misura (i contatori) e ci rilasci l’agognato verbale di allaccio.
Tra i passaggi 2 e 3, intercorre una registrazione sul portale Terna (gestore della rete di trasmissione nazionale) da fare esclusivamente on-line. Le eventuali richieste di integrazione dell’ente distributore per i motivi più svariati e a volte fantasiosi sono dissimili tra Ente ed Ente in quanto ovviamente ogni distributore ha una propria modulistica e abitudini, anche semplicemente per interfacciarsi. E questo nonostante l’Autorità per l’energia abbia cercato di mettere inutilmente un po’ di ordine.
Questi passaggi necessitano da un minimo di 60 giorni circa per utenze domestiche sino a uno-due anni per grandi impianti localizzati in zone sfortunate.
Adesso che il nostro impianto funziona, e lo fa in modo egregio, resta da vincere la sfida dell’incentivo. Vediamo cosa dobbiamo fare con l’ente preposto, cioè il GSE.
Gestore dei servizi energetici. Con il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) si raggiunge la vetta della burocratizzazione del sistema. Procediamo alla registrazione sul portale GSE ed entro 15 giorni (solari, e ci mancherebbe altro) si deve caricare (assolutamente in PDF):
  1. richiesta di concessione delle tariffe incentivanti
  2. certificato antimafia
  3. dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà
  4. scheda tecnica dell’impianto
  5. schemi elettrici di sistema
  6. elaborati grafici di dettaglio
  7. cinque fotografie (ben fatte e da diverse angolazioni)
  8. elenco delle matricole dei moduli
  9. elenco delle matricole degli inverter
  10. dichiarazione di proprietà dell’immobile
  11. autorizzazione alla costruzione dell’impianto
  12. dichiarazione di idoneità del titolo autorizzativo
  13. comunicazione del POD
  14. verbali di istallazione dei contatori
  15. certificato Censimp rilasciato da TERNA
  16. certificati di ispezione di fabbrica per prodotti UE
  17. fatture di acquisto
  18. documento di identità del richiedente
Tutto ciò per un impianto fotovoltaico da 3 kWp!
In tutto questo le autocertificazioni, pur previste per legge come strumento di semplificazione, sono considerate prive di ogni validità, così come rimane lettera morta il divieto da parte di un ente pubblico di richiedere documenti già in possesso di un’altra amministrazione.
Ora, armati di pazienza, dobbiamo aspettare l’esito da parte del GSE. E questo sarebbe un lungo capitolo da affrontare in separata sede.
Il filo diretto con il GSE dura poi 20 anni non solo per la ricezione degli incentivi, ma anche per i rapporti di qualsiasi altra natura e non sempre risultano essere, come chi opera nel settore ben sa, assolutamente agevoli.
Se poi avessimo osato fare un impianto più grande, per esempio da 6,1 kWp, avremmo dovuto aggiungere altri documenti e se fosse stato da più di 20 kWp allora saremmo entrati nel girone dei dannati dell’UTF e delle Officine Elettriche (agenzia delle dogane) con tarature dei contatori e registri quotidiani da compilare copiando per benino (a mano su di un registro timbrato ) i dati dei contatori, pagamento dei diritti di licenza annuale, e pagamenti di addizionali sulle accise per tutta l’energia autoconsumata.
Poi per gli impianti in sola vendita o di potenza rilevante sopra i 20 kWp una volta all’anno saremmo costretti a compilare il cosiddetto “Fuel Mix” che altro non è che una comunicazione di produzione e/o per la comunicazione di “consumo” che altro non è che la trasmissione delle produzioni e consumi fatti alle Dogane (altro ente con cui si instaura un rapporto a vita, solo per impianti sopra i 20 kWp).
Conclusioni
Il nostro eroe ha ora il suo impianto fotovoltaico e ha avuto la fortuna di avere dei tecnici che sapevano cosa fare e che si sono fatti in quattro per rispettare tempi e leggi. A chi sostiene che la burocrazia è necessaria e serve per evitare “furbate“ vorremo domandare se dopo aver letto quanto riportato continui a ritenere che un Paese possa sostenere tanta inutilità per fare un prodotto di pubblica utilità come un impianto di produzione energetica alimentato da fonti rinnovabili.
E se facessimo lo “spread” reale tra Italia e Germania sulla burocrazia potremmo vedere che in Italia servono (mal contati) circa 40 documenti diversi per un impianto da 3 kWp, mentre in Germania sono di fatto 2 (avete letto bene 2). Per non parlare del contenimento dei costi.
E per controbattere alla tesi di chi asserisce che se la burocrazia fosse effettivamente troppo onerosa e di difficile attuazione non si sarebbero installati così tanti impianti e così tanta potenza, la risposta è che solo con l’incredibile determinazione, la costanza e la capacità di tecnici e di aziende riunitisi in gruppi nati sul web a margine di uno stato di necessità si è stati in grado di far fronte alle mutevoli e repentine variazioni legislative e normative (a volte anche in corso d’opera). Si è creata una rete di collaborazione e di supporto quotidiani a titolo assolutamente gratuito e volontario stravolgendo le normali regole di concorrenza a favore di una solidarietà mai vista prima d’ora.
Le proposte di semplificazione sono state fatte a più riprese in tutte le sedi, ma a oggi anche per il futuro quinto conto energia paiono rimanere lettera morta (anzi con il registro si ottiene un’ulteriore devastante complicazione), ma si sente soprattutto la mancanza di un coordinamento generale o ancor peggio si percepisce la netta volontà di frenare questo settore con innumerevoli ostacoli che rallentano la corsa ma che alla lunga uccidono il corridore.
Gruppo MSA, Movimento per lo Sviluppo Energie Alternative (tecnici e installatori del settore delle rinnovabili)