venerdì 19 agosto 2011

Biomasse negli inceneritori, l'ultima trovata di Hera

Quando fu progettato il nuovo inceneritore di Forlì, firmato dal noto architetto Gae Aulenti, molti ambientalisti correttamente evidenziarono come fosse completamente sovradimensionato rispetto al bacino territoriale di Forlì-Cesena. Autorizzato a bruciare esclusivamente materiale proveniente dalla provincia, fino a un limite di 120.000 tonnellate/anno. Oggi constatiamo di avere avuto ragione, dato che non è praticamente mai riuscito a funzionare al massimo regime autorizzato.

Questo potrebbe far trarre un sospiro di sollievo ad alcuni, invece non dovrebbe, poiché la progettazione di impianti così complessi prevede un potere calorifico in ingresso prevedibile e ben garantito, previa il non corretto funzionamento del sistema automatico di controllo delle emissioni.

In effetti, questo sistema di controllo necessario per mantenere la temperatura all'interno del forno a griglia intorno ai 900-950 °C (pena la formazione di pericolose diossine), prevede l'utilizzo di massicce iniezioni di gas metano (specialmente durante i transitori) e insufflamenti di ossigeno (controllati al computer) per renderne stabile il funzionamento termico in ogni condizione di carico possibile.

Ecco allora l'ideona di Hera, perchè non integriamo la quota di rifiuti che non riusciamo a reperire sul territorio con altrettante biomasse ? Così possiamo farlo funzionare a pieno regime, ed inoltre ci pappiamo pure un surplus di certificati verdi come fosse un impianto ad energia rinnovabile.

La richiesta che Hera ha fatto pervenire al comune di Forlì, per alcuni considerata indecente, é equivalente a un ampliamento della capacità autorizzata per altre 45.000 ton/anno, ma di biomasse anziché di rifiuti. Anche se a rigore potrebbe essere mantenuto il limite massimo attuale (120.000ton/a), ma da intendersi del complessivo biomasse + rifiuti.

Purtroppo, le cose non sono affatto così semplici, poiché se anche è vero che l'approvvigionamento di rifiuti è soggetto a incertezza, anche quello di biomasse non è da meno, pertanto ci si potrebbero aspettare effetti molto modesti sulla riduzione della quantità di metano complessiva che l'impianto dovrà comunque utilizzare per garantire la sua necessaria stabilità termica.

Nonostante ciò, il presidente della provincia Massimo Bulbi, che con tutta evidenza si intende assai più di caccia che di tecnologia, se ne esce con queste affermazioni:

“Attualmente l’impianto di termovalorizzazione di Hera, oltre ai rifiuti urbani, utilizza anche gas per mantenere la migliore funzionalità – sostiene Bulbi -. Quindi utilizzare biomasse in luogo di un combustibile fossile non può che essere un passo nella direzione giusta."

Quando si parla di incenerimento, la quantità autorizzata per un impianto non é un parametro fondamentale di progetto, poiché dal punto di vista di un forno il bruciare 1 tonnellata di materiali oppure 1/2 tonnellata ma dal potere calorifico doppio è pressoché equivalente. Sarebbe perfettamente lecito addirittura bruciare molto meno materiale di quanto autorizzato attualmente, purché esista una qualche pre-selezione capace di innalzarne il potere calorifico a un livello sufficiente. 

Ebbene, utilizzare biomasse (che hanno un potere calorifico più alto dei rifiuti urbani tal quali ma comunque basso rispetto al mentano) non sembra essere una soluzione intelligente per questo impianto, progettato con in mente un potere calorifico in ingresso di 2500 Kcal/Kg. Che bruciare biomasse faccia risparmiare metano quindi, non bisogna solo dirlo, bisogna anche dimostrarlo. Inoltre, i camion in più per trasportare le biomasse necessarie sicuramente consumeranno prezioso gasolio.

Benissimo ha fatto quindi l'assessore all'ambiente Bellini di Forlì, nonchè ingegnere esperto, a suggerire una modifica in senso opposto, ossia anziché incrementare la quantità di materiale (quindi di camion, con relativo inquinamento e consumi energetici di fonti fossili indotti dai trasposti) si cerchi di valutare se sia possibile aumentare il potere calorifico di quanto già arriva, magari ricorrendo a una separazione spinta delle frazioni grazie al metodo della raccolta domiciliare.

Il residuo secco dalla raccolta differenziata, tolta la parte umida, i materiali ferrosi, il vetro, le plastiche ben riciclabili (che sarebbe un peccato bruciare anziché riutilizzare), diventa CDR e potrebbe avere un potere calorifico sufficiente a giustificare l'impianto così come è, senza la necessità di ricorrere al trucco delle biomasse per garantire la sua piena utilizzazione.

In soldoni, visto che l'impianto già esiste e non ce lo toglieremo di torno a breve termine, per lo meno rendiamolo funzionale a una raccolta differenziata spinta, in modo da distruggere termicamente solo quanto non sappiamo recuperare, e che quindi andrebbe inevitabilmente in discarica.

Qualcosa mi fa pensare però che Hera difficilmente abbandonerà questa ideuzza balorda di trasformare i suoi inceneritori in altrettanti impianti a biomasse, infatti anche a Ferrara stanno pensando a un progetto del genere, sintomo che questa è una precisa strategia che vedremo presto fiorire un po ovunque

Fermiamoli (per il bene delle "vere" energie rinnovabili), non si rendono conto della portata devastante per un futuro sostenibile di ciò che stanno facendo... un inceneritore truccato da centrale a biomasse in ogni provincia, costituirebbe un perfetto non-senso ambientale.

UPDATE: Trovate sul sito di Forlì Ambiente tutti i dettagli tecnici sulla richiesta fatta da Hera.

martedì 16 agosto 2011

Osservazioni al piano energetico comunale di Cesena


Sono scaduti Lunedì 8 agosto scorso i termini per la presentazione delle osservazioni al Piano Energetico Comunale (PEC) del comune di Cesena. Si tratta di un documento importante per ogni amministrazione comunale, tramite il quale si forniscono gli indirizzi necessari agli interventi per contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici (riduzione della Co2) e alla pianificazione dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili sul territorio comunale.

Il Movimento Impatto Zero è stato chiamato dalla lista civica 5 stelle per contribuire alla stesura delle osservazioni, cosa che ha dato origine a questo documento.

Per la stesura del piano, il comune di Cesena ha creato una società privata ma a capitale interamente pubblico, di nome Rinnova, la quale rimarrà ativa negli anni seguenti per monitorare e rendere operativo il piano stesso, veicolandone i relativi investimenti. Questo consente di aggirare il patto di stabilità dei comuni garantendo il dispiego delle risorse necessarie per conseguire gli obiettivi previsti dal piano.

Il piano tratta principalmente degli interventi da effettuare negli edifici scolastici e in quelli della pubblica amministrazione, fornendo solo indicazioni complessive di massima e non precise condizioni di progetto. Gran parte del piano è dedicata alla necessità di incentivare le varie fonti energetiche alternative, con una comparazione della loro efficacia specifica al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati per il prossimo quinquennio.

Come si può dedurre facilmente da questa sintesi del PEC presentata dal comune, esso è affetto da un inevitabile vizio di fondo, si basa infatti su dati di emissione della CO2 che risalgono al 2007 (Data dell'ultimo bilancio energetico comunale). A pag.10 del documento di sintesi si riprendono le stime emissive della CO2 al 2007 e le si proiettano linearmente fino al 2020, ignorando completamente che nel frattempo è intervenuta una crisi sistemica che ha drasticamente ridotto le emissioni globali e i relativi consumi.

Il rischio è pertanto di sovrastimare gli interventi necessari per rientrare nel protocollo di kyoto e garantire il rispetto delle direttive europee 20-20-20. A ciò si unisce un assoluto sbilanciamento del piano a favore delle biomasse dedicate (con 5 Km2 di superficie da reperire), senza tuttavia tenere in debito conto il loro bassissimo eroei, quindi la assai discutibile efficacia delle stesse in termini di mitigazione complessiva della CO2 e riduzione dell'inquinamento da polveri sottili.


Scarica il Piano Energetico Comunale di Cesena

Scarica le Osservazioni al PEC presentate dal MIZ/M5S.

domenica 14 agosto 2011

Rapporto ISPRA 2009 sui rifiuti urbani


E' uscito recentemente il Rapporto ISPRA 2009 sui rifiuti urbano, contenente il rapporto sui dati nazionali, aggregati per regioni e provincie, in tema di raccolta differenziata e recupero dei materiali post consumo presso i consorzi (conai, corepla, comieco, etc.).


C'è un deciso progresso, soprattutto nelle regioni del nord, ma anche in qualche regione del sud come la sardegna, che dimostra come utilizzando politiche di raccolta domiciliare (porta a porta) si riesca agevolmente a rimanere entro i limiti stabiliti dalla legge, che prevederanno entro il 2012 il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata.

Nel totale, solo il 25% delle province (26 su 107) ha raggiunto o superato i livelli di legge previsti al 2009, che erano pari al  50% di RD. Ovviamente le regioni che si sono distinte positivamente sono il Trentino e il Veneto, dove vige la più alta penetrazione di raccolta domiciliare spinta. 

La nostra Emilia Romagna è in buona posizione, ma difficilmente potrà incrementare il proprio risultato senza una decisa inversione di tendenza nelle modalità industriali di gestione da parte di Hera, caratterizzate da una massiccia iniezione di "assimilati". Dalla Toscana in giù invece, siamo ancora nel pieno medioevo della raccolta differenziata, salvo alcune lodevoli eccezioni.

venerdì 12 agosto 2011

Il sindaco Cenname ci riprova con la raccolta differenziata


Ne avevamo già parlato parecchi mesi fa citando la tragicomica vicenda di Vincenzo Cenname, sindaco del piccolo comune campano di Camigliano in provincia di Caserta. Il comune è noto alle cronache per essere stato commissariato a causa del risultato troppo buono in termini di raccolta differenziata.

In sintesi, la provincia imponeva di applicare sul tutto il territorio un metodo di raccolta differenziata uniforme ma inefficiente, mentre il sindaco si era "impuntato" con la raccolta Porta a Porta, conseguendo risultati sbalorditivi vicini al 70% di RD.

L'affronto era troppo grave perché il sindaco rimanesse al suo posto, infatti è stato cacciato e la sua giunta sciolta, ma non avevano fatto i conti con gli elettori, che evidentemente non hanno gradito il gesto rieleggendolo rapidamente e in modo plebiscitario.

Ora, Vincenzo Cenname ci riprova con la raccolta differenziata, con l'obiettivo questa volta dell'80%, promuovendo al contempo un ricorso al TAR e alla corte costituzionale per dichiarare incostituzionale una legge che vincola i comuni ad agire secondo i dettami (sbagliati) della provincia. Nel frattempo introduce i pannolini lavabili, l'illuminazione pubblica a risparmio energetico e le case dell'acqua per ridurre il consumo di bottiglie di plastica. Oggi Vincenzo Cenname fa parte del direttivo dell'associazione dei comuni virtuosi.

Io, casomai, vorrei commissariare chi queste cose non le fa.

mercoledì 10 agosto 2011

Le palline omeopatiche e il numero di Avogadro


Prendete dieci palline rosse e mettetele in un sacco assieme a 90 palline nere. Ora agitate vigorosamente poi vuotate il sacco avendo l'accortezza di lasciarci dentro, in maniera casuale, solo 10 palline.

Quante palline colorate di rosso e di nero vi aspettereste di ritrovare nel sacco ?

Senza scomodare il calcolo delle probabilità, potreste trovarne una rossa e nove nere, magari le trovate tutte nere, magari di rosse ne trovate due o tre. Se ne trovaste 10 tutte rosse, beh, allora vi consiglio di tentare la sorte alla roulette, siete stati decisamente fortunati.

Ora aggiungete altre 90 palline nere alle 10 palline rimaste nel sacco, agitate ancora vigorosamente, anzi "dinamizzate" il tutto, poi svuotatelo di nuovo parzialmente fino a lasciarci dentro ancora le consuete 10 palline, di che colore saranno ?

Già questo è un po più difficile a dirsi, poiché dipende anche dalla conoscenza o meno di quante palline rosse ne avevo trovate prima. Se prima erano tutte nere, sicuramente ora di rosse non ne troverò nemmeno una, se prima di rosse ce n'erano tre, non potrò certo trovarne più di tre. Se mi va di lusso forse ne trovo ancora una!

Ora, ripetete la "diluizione" del sacco altre 20 volte con altrettante serie di 90 palline nere, lasciandone solo 10 ogni volta. Quante palline rosse troverete alla fine ? Io mi ci gioco la casa, l'auto, e persino il cane, che non ne troverete più neanche una.

Qualcuno potrà dimostrarmi (scientificamente?) che le palline nere sono dotate di "memoria" per avere incontrato casualmente non tanto una pallina rossa, quanto altre palline nere che a loro volta ne hanno incontrate altre che forse hanno conosciuto un vicino nero che se la faceva, in tempi non sospetti, con una bella pallina rossa, probabilmente tramandandosi la conoscenza in forma di mitologia orale.

Ora, le molecole chimiche non sono certo palline, e il sacco a forma di boccetta non ne contiene solo cento ma magari una intera "mole", no non parlo della "Mole Antonelliana" ma di quella quantità pari al numero di Avogadro! Il concetto non cambia poi di molto.

Ora, supponiamo che qualcuno affermi (senza dimostrarlo) che quella pallina (molecola) rossa facesse veramente bene alla salute, perché allora non mi vendono direttamente quella, anziché farmi comprare la sua variante omeopatica ? L'acqua per diluirla ce la metto io!

Vedete, il problema non è stabilire la supremazia della scienza rispetto a ogni altro tipo di disciplina. Dato che la scienza non è perfetta e non dice sempre necessariamente la verità, taluni pensano che qualsiasi cosa gli venga accostata non possa essere del tutto menzogna. Così, ci saranno sempre coloro ai quali piace credere alla teiera cosmica, oppure giocano con le parole, tipo contrapporre "allopatia" con "omeopatia", tanto per applicare un po di relativismo.

Il problema semmai è che le "pseudoscienze" muovono un sacco di soldi, e talvolta si rivelano assai pericolose quando applicate con eccesso di buona fede.

P.S. Ho scoperto che lo stesso principio funziona (o meglio non funziona) anche con gli sciroppi di menta. E anche che qualcuno si incazza sonoramente quando questa cosa la si va a dire in giro.... quindi questo segreto tenetevelo per voi, perché anche se eventuali querele le potrei vincere, al mio blog ci tengo!

Update: Ok, ho disseminato il post di troppi link, e non ne avrete probabilmente seguito nemmeno uno, ma semmai vi venisse voglia di seguirne almeno uno vi consiglio QUESTO, che è davvero illuminante.

lunedì 8 agosto 2011

La sostenibilità e lo stato stazionario nella cultura Giapponese

Questa che segue è la trascrizione più o meno letterale di un discorso che Ugo Bardi ha tenuto nel marzo scorso, al centro di cultura giapponese e Judo "Kosen Dojo" di Firenze. La sua lettura vale sicuramente il tempo speso, in ogni singola parola, per le profondissime implicazioni che collegano inaspettatamente la cultura giapponese con quella folle rincorsa al "mantra" della crescita tipica della civiltà dei nostri giorni.



<< Signore e signori, prima di tutto lasciatemi dire che nella mia carriera ho tenuto molte presentazioni su energia e sostenibilità, ma questa è la prima volta che mi capita di farlo seduto a gambe incrociate a terra su un tappeto giapponese, un tatami. Però, lasciatemi aggiungere che è un vero piacere farlo, ed è un piacere speciale farlo in un dojo, ai piedi del ritratto di Kano Jigoro, il fondatore del Judo moderno. Effettivamente sono stato anch’io un judoka, anche se devo dire che non pratico da un po’. Insomma questo posto mi ricorda moltissimo il Giappone, dove ho vissuto e sono stato molto bene, anni fa; e come sapete i recenti avvenimenti di Fukushima hanno sollevato il problema dell’energia e della sostenibilità in Giappone e nel mondo intero.

Il popolo giapponese ha subito più sofferenze di qualunque altro a causa della nostra cattiva gestione dell’energia atomica. Quella del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, nel 1945, è triste storia. Magari qualcuno di voi ha avuto la possibilità di visitare queste città – io le ho visitate entrambe, e vi posso dire che la memoria di quegli eventi non è qualcosa che si riesce a ignorare facilmente. Ovviamente, al confronto l’incidente nucleare di Fukushima è stato cosa da poco. Ma rimane che è difficile per noi – intendo noi umanità – gestire l’energia nucleare. Forse è semplicemente una cosa troppo grande e complessa.

Comunque, lasciamo perdere i pro e i contro dell’energia atomica; non è di questo che voglio discutere con voi oggi. Piuttosto, credo che possiate essere interessati a parlare un po’ della cultura giapponese. Il semplice fatto che siamo tutti seduti sul pavimento su un tatami giapponese vuol dire che la cultura del Giappone ha un’influenza su di noi, proprio come ha avuto influenza sulla cultura occidentale in molti campi – pensate solo ai manga! Perciò, quello che vorrei fare oggi è discutere di ciò che possiamo imparare dal Giappone in termini di sostenibilità.

Lasciatemi cominciare con qualche parola sulla storia del Giappone. Conoscete sicuramente il periodo “Heian” o “Imperiale”, iniziato tanto tempo fa: questo fu il periodo “classico” della storia giapponese. Il periodo Heian ha poi lasciato il campo a un’età di guerre civili: il sengoku jidai, l’epoca dei Samurai. Diversi film l’hanno dipinto come un’epoca romantica, ma sono sicuro che la gente che ci viveva non la trovava molto romantica; era un periodo di continue battaglie, e doveva essere parecchio dura per tutti. Ad ogni modo, questa fase storica finì quando Tokugawa Ieyasu emerse da vincitore delle guerre e divenne shogun, reggente di tutto il Giappone. Questo succedeva intorno all’anno 1600, e cominciò allora il periodo “Edo”, che fu molto più tranquillo. Il periodo Edo durò finché il Commodoro Perry non arrivò con le sue “navi nere” a metà del 19° secolo, il che diede inizio all’età moderna.

Ora, i due secoli e mezzo del periodo Edo sono molto interessanti dal punto di vista della sostenibilità. Non fu solo un periodo di pace; fu anche un’epoca di economia stabile e popolazione stabile. In effetti, non è del tutto vero, perché la popolazione del Giappone aumentò nella prima parte del periodo Edo; ma arrivata a 30 milioni restò quasi costante per circa due secoli. Non ho notizia di altre società nella storia che hanno vissuto un simile periodo di stabilità. Era un esempio di quel che oggi chiamiamo “economia di stato stazionario”.

Il motivo per cui la maggior parte delle civiltà non riescono a raggiungere uno stato stazionario è che è troppo facile sovrasfruttare l’ambiente. E’ qualcosa che non ha a che fare solo con i combustibili fossili: è tipico anche delle società agricole. Se tagliate troppi alberi, il suolo fertile viene lavato via dalla pioggia. E poi, senza terra fertile da coltivare, la gente muore di fame. Il risultato è il collasso – una caratteristica comune di gran parte delle civiltà del passato. Qualche anno fa, sull’argomento Jared Diamond ha scritto un libro, intitolato proprio “Collasso”.

C’è un punto interessante di Diamond a riguardo delle isole. In un’isola, dice Diamond, ci sono risorse limitate – molto più limitate che sul continente – e le opzioni a disposizione sono limitate di conseguenza. Quando sei a corto di risorse, mettiamo di terreno fertile, non puoi emigrare e non puoi attaccare i vicini per ottenere risorse da loro. Puoi solo adattarti, o perire. Diamond cita diversi casi di piccole isole nell’oceano Pacifico in cui l’adattamento era molto difficile ed i risultati sono stati drammatici, come nel caso dell’isola di Pasqua. In alcune isole davvero piccole, adattarsi è risultato talmente difficile che gli esseri umani sono semplicemente scomparsi. Sono morti tutti, e basta.

Il che ci porta al caso del Giappone: che è un’isola, naturalmente, anche se grande. Ma alcuni dei problemi che si avevano con le risorse dovevano essere gli stessi di tutte le isole. Il Giappone non possiede molto in termini di risorse naturali. Moltissima pioggia, per lo più, ma poco altro, e la pioggia può fare molti danni se le foreste non sono ben amministrate. E ovviamente in Giappone lo spazio è limitato, il che significa che c’è un limite alla popolazione; almeno finché essa dipende dalle risorse locali. Io credo che a un certo punto nel corso della storia i giapponesi abbiano raggiunto il limite massimo di quel che potevano fare con lo spazio a disposizione. Ovviamente ci volle del tempo: il ciclo è stato molto più lungo che su una piccola isola come l’isola di Pasqua. Ma potrebbe perfettamente essere che le guerre civili furono una conseguenza del fatto che la società avesse raggiunto un limite. Quando non c’è abbastanza per tutti, le persone tendono a combattere fra di loro, ma è ovvio che non sia questo il modo migliore per gestire la scarsità di risorse. Perciò, a un certo punto i giapponesi dovettero smettere di lottare, dovevano adattarsi o morire – e si adattarono alle risorse che avevano. Era l’inizio del periodo Edo.

Per arrivare a uno stato stazionario, i giapponesi dovevano gestire al meglio le risorse a disposizione, ed evitare di sprecarle. Una cosa che fecero fu liberarsi degli eserciti del periodo delle guerre. La guerra è semplicemente troppo costosa per una società a stato stazionario. Poi, fecero grossi sforzi per mantenere le foreste ed incrementarle. Potete leggere qualcosa a riguardo nel libro di Diamond. Il carbone di Kyushu forse aiutò un po’ a risparmiare gli alberi, ma il carbone da solo non sarebbe stato abbastanza – fu la gestione delle foreste a fare la differenza. Il governo amministrava i boschi a livello di singola pianta: un’impresa notevole. Infine, i giapponesi riuscirono a gestire la popolazione. Probabilmente fu questa la parte più difficile, in un tempo che non conosceva contraccettivi. Da quel che ho letto, ho capito che i poveri erano obbligati a praticare più che altro l’infanticidio, e questo doveva essere atroce per i giapponesi, come sarebbe per noi oggi. Ma le conseguenze del lasciar crescere la popolazione senza controllo sarebbero state terribili: per cui, erano costretti a farlo.

Noi tendiamo a vedere l’economia a stato stazionario come qualcosa di molto simile alla nostra società, solo un po’ più tranquilla. Ma il periodo Edo del Giappone era molto diverso. Di certo non era il paradiso in terra. Era una società estremamente regolata e gerarchica, in cui sarebbe stato difficile trovare – o anche solo immaginare – qualcosa come “la democrazia” o “i diritti umani”. Nonostante ciò, il periodo Edo fu una realizzazione notevole, una società molto raffinata e ricchissima di cultura. Una civiltà di artigiani, poeti, artisti e filosofi. Creò alcuni dei tesori d’arte che possiamo ammirare ancora oggi, dalle spade katana alla poesia di Basho.

Insomma, i giapponesi ce la fecero a creare una società estremamente raffinata che riuscì a esistere in uno stato stabile per più di due secoli. Non credo che nella storia ci siano molti casi paragonabili. Perché il Giappone ebbe successo dove molte altre civiltà nella storia avevano fallito? Be’, penso che il fatto di essere un’isola fosse un enorme vantaggio. Questo proteggeva da gran parte delle ambizioni dei popoli confinanti, e anche dalla tentazione che potevano avere gli stessi giapponesi di invadere i loro vicini. E se non hai una terribile paura di essere invaso (e non hai intenzioni di invadere nessuno), allora non hai motivo di mantenere un grosso esercito, né di far crescere la popolazione. Puoi concentrarti sulla sostenibilità e sulla gestione di quel che hai a disposizione. Poi, naturalmente, quando il Commodoro Perry e le sue navi nere arrivarono, il Giappone non fu più un’isola, nel senso che smise di essere isolato dal resto del mondo. Così la crescita ripartì. Ma, finché il Giappone restò isolato, l’economia rimase in uno stato stazionario e, come ho detto, questa era una conquista straordinaria.

Però non credo che il fatto di essere un’isola spieghi tutto del periodo Edo. Io penso che esso non sarebbe stato possibile senza un certo grado di saggezza. O forse un termine più corretto in questo caso è “sapienza”.

La saggezza o la sapienza non sono cose che si possano quantificare o attribuire a persone specifiche. Ma io ritengo che il Giappone, nella sua interezza, aveva raggiunto un certo livello di – diciamo così – “illuminazione”. Comprendetemi: mi riferisco al periodo Edo. So bene che oggi il Giappone è pieno di posti orribili come la maggior parte dei luoghi del mondo occidentale: inquinato, sovraffollato e pieno di costruzioni bruttissime. Però nel periodo Edo si era sviluppato un modo di guardare il mondo che ancora ammiriamo oggi, e che è secondo me ben rappresentato dalla poesia giapponese: un prodigio di luminosità, di percezione dei dettagli, di amore per le piccole e delicate cose del mondo càduco. Ma non è solo la poesia: pensate al Judo secondo il maestro Kano. E’ un modo di vivere: una filosofia, una maniera di acquisire saggezza. Il Judo è un’idea moderna, ovviamente, ma ha le sue origini nel periodo Edo. Per quello che posso capire, l’approccio giapponese di quell’epoca era quanto di più lontano può esserci dall’atteggiamento orrendo che abbiamo noi oggi, quello del golem chiamato homo economicus che pensa seriamente che un albero non abbia valore a meno che non sia abbattuto. Se è questo il modo con cui guardiamo il mondo, allora meritiamo di collassare e scomparire. La saggezza probabilmente non è una risorsa non rinnovabile, ma sembra che siamo comunque riusciti a restarne senza.

Vorrei raccontarvi una storia proveniente dalla saggezza giapponese; ha a che fare con l’epoca delle guerre civili ma fu sicuramente inventata durante il più tranquillo periodo Edo. Probabilmente conoscete i nomi dei principali condottieri dell’ultima fase delle guerre civili in Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Alla fine, fu Ieyasu a diventare shogun e guida dell’intero paese. Sul come ci riuscì, c’è questa storiella che esiste in forma di senryu, una poesia breve. Racconta che un giorno Nobunaga, Hideyoshi e Ieyasu si incontrarono e videro un cuculo che non cantava. Nobunaga disse: “Se non canta, lo uccido”. Hideyoshi disse: “No, io lo convincerò a cantare”. E Ieyasu disse: “Io aspetterò, finché non canterà”.

Penso che questo racconto sia un’ottima rappresentazione di come la gente del periodo Edo razionalizzava gli eventi che portarono alla loro età. Ci dice che la strategia vincente non è la violenza, e nemmeno la furbizia: bensì è l’adattamento. I giapponesi avevano capito che non potevano forzare o persuadere la loro isola a comportarsi come essi desideravano, proprio come non si può forzare o convincere un cuculo a cantare. Dovevano adattarsi, e lo fecero. Questa, io credo, è saggezza.

Ora, una caratteristica della saggezza è che si può applicare a diverse situazioni, diversi luoghi, diversi tempi. Vediamo un po’ come possiamo interpretare il racconto nella nostra epoca. Abbiamo enormi problemi ovviamente: non abbiamo abbastanza petrolio, non abbiamo abbastanza risorse minerali, né abbastanza acqua, né atmosfera per assorbire i residui della combustione. Come reagiamo allora? Be’, un po’ come Nobunaga. Siamo propensi a usare la violenza, non solo in termini di “guerre per il petrolio”. Cerchiamo di forzare il pianeta a produrre quel che desideriamo. In un certo senso, è come dire all’uccello “canta, o ti ammazzo”. Insomma, è il “drill, baby drill!”, è la volontà di fare di tutto e con qualunque mezzo per produrre i combustibili liquidi di cui siamo convinti di avere assoluto bisogno, anche se così distruggeremo la terra e l’atmosfera. Vogliamo costruire centrali atomiche, incuranti dei rischi connessi, e fare un mucchio di altre cose per forzare il pianeta a produrre ciò di cui crediamo avere la necessità.

Poi c’è un diverso atteggiamento in apparenza più civile: è l’efficienza. Esso dice che, se riusciamo a convincere la gente ad usare le risorse in maniera più efficiente, possiamo continuare ad avere tutto quello cui siamo abituati ed in più salvare il pianeta. Le lampade a risparmio energetico e le auto di dimensioni più piccole di certo appaiono molto meglio, come idea, del “drill, baby, drill”; ma in fondo il concetto non è tanto diverso, nel senso che non vogliamo cambiare rispetto a ciò che pensiamo sia per noi indispensabile. Il modello di vita americano resta apparentemente non negoziabile: solo il modo di ottenerlo potrebbe forse esserlo. Questa strategia potrebbe addirittura funzionare – almeno per un po’. Ma riusciremo davvero a trovare delle soluzioni tecnologiche per avere, tutti, tutto quello cui siamo abituati? Il recente disastro di Fukushima dovrebbe averci insegnato che non siamo così furbi come possiamo pensare.

Non siamo ancora giunti al punto in cui scopriremo che la strategia vincente non è forzare né persuadere la Terra a dare più di quanto possa. La strategia vincente consiste nell’adattamento. Abbiamo la necessità di ritarare i nostri bisogni in base a quanto il pianeta può offrire. E’ quello che i giapponesi fecero sulla loro isola; e in fondo tutti noi viviamo su un’isola, un’isola gigante, sferica e blu che vaga nell’oscurità dello spazio. Sta a noi gestire i doni che riceviamo dalla Terra e creare qualcosa di bello come la civiltà Edo in Giappone; certamente con metodi migliori e più dolci per il controllo della popolazione.

Se l’esempio storico del Giappone conta qualcosa, forse siamo nella giusta direzione, e l’età delle guerre civili planetarie potrà finire prima o poi. Allora, se riusciamo ad aspettare abbastanza, un giorno anche noi potremo sentire il cuculo cantare. >>



Fonte: Cassandra

domenica 7 agosto 2011

Unica tariffa rifiuti per molti comuni del forlivese

Il 3 agosto scorso, presenti quasi tutti i sindaci dell'area Forlivese e Cesenate, si è deliberata all'assemblea di ATO (ente che verrà sciolto a fine anno in tutta l'Emilia Romagna perchè soppresso) la uniformazione delle tariffe TIA sui rifiuti su gran parte dei piccoli comuni collinari (vedi articolo).

I vari giornali locali hanno riportato la notizia, chi più e chi meno, con grande entusiasmo e soddisfazione per questo risultato, sottolineandolo come una importante conquista della nostra amministrazione.

Evidentemente una qualche semplificazione in quella che era una babele di tariffe andava fatta, non c'era un comune del Forlivese in cui i cittadini pagassero la tariffa rifiuti come in un altro, anche a parità di servizio (gestito in regime di monopolio da Hera). 

In questo articolato tariffario estratto dalla sezione tariffe del sito di ATO FC trovate tutto di tutto, ma per arrivare a calcolare la semplice tariffa media di un comune si deve passare da una selva tale di coefficienti da scoraggiare qualsiasi laureato in economia e commercio. (Una semplice e trasparente tabellina riassuntiva con i dati medi comune per comune non mi è riuscito di trovarla)

Però, un momento, se è vero che ogni comune aveva una tariffa un po diversificata, non é forse perché rifletteva davvero un profilo di costi non proprio uguale, oppure aveva magari messo in cantiere qualche politica virtuosa (o semplicemente diversa) nella gestione dei rifiuti sul proprio territorio. 

Nei fatti, ci saranno alcuni comuni che adesso si troveranno a pagare assai di meno, ad esempio una famiglia di Dovadola di quattro persone che abita in una casa di 100 metri quadrati pagherà una bolletta dei rifiuti annua di 139 euro, contro i 228 pagati finora, altri che pagheranno di più, come Bagno di Romagna, dove la tariffa attuale peggiorerà notevolmente.

Sulla carta, sembra quindi una buona cosa, ma cosa succede realmente uniformando a tutti le modalità di calcolo delle tariffe ?

Ce lo spiega in questo articolo Palmiro Capacci, ex assessore all'ambiente di Forlì:

Perché il cittadino di Modigliana che nel 2010 ha prodotto 515 Kg di RSU deve pagare come il cittadino di Longiano che ne ha prodotti 1286 kg.? Perché un comune che fa una elevata raccolta differenziata, quindi minor costi di smaltimento, non deve avere uno sconto in tariffa?

Eccolo il vero nocciolo della questione, c'è il sospetto che imponendo a tutti i piccoli comuni di uniformare le tariffe, nessun sindaco possa poi saltarsene fuori con l'idea di voler andare controcorrente per migliorare il servizio, al di la del volere di Hera. 

Se il sindaco di un piccolo comune montano decidesse, in un lampo di illuminazione, di intraprendere ad esempio la strada del porta a porta, forse ci penserebbe un po su ed esclamerebbe: "Ma se i miei cittadini spenderanno comunque uguale a quelli del comune vicino, a me, di fare il porta a porta, chi me lo fa fare ?"

A mio parere si sarebbe dovuto partire con una base tariffaria uguale per tutti, ma lasciare comunque ai singoli comuni la possibilità di premiare con tariffe incentivanti sulla quota variabile i risultati ottenuti in termini di raccolta differenziata, per premiare i comportamenti virtuosi come l'introduzione della raccolta domiciliare.

Il messaggio dato da Hera è "devi essere contento perchè paghi come il tuo vicino", invece dovrebbe essere "devi essere contento perchè paghi per quanto produci".

martedì 2 agosto 2011

Pensieri da post vacanze con quadrupede

Non è che sono stato in vacanza per oltre un mese, e nemmeno è arrivato il crampo del blogger oppure la depressione post vacanza. E' che siamo tornati dalle ferie e non ho ancora trovato il coraggio di scrivere

A dire la verità, penso che qualche merito possa averlo avuto anche la cura disintossicante da TV (bandita in vacanza). Discaccarsi (seppure temporaneamente) da un mezzo così passivo, tagliare il cordone ombelicale dell'informazione drogata, porta paradossalmente a smettere di desiderare di produrla, analoga informazione, che creare contenuti o subirli sono poi in fondo due opposte facce della stessa medaglia, fatta di desiderio di comunicare e sentirsi partecipi alle vicende del mondo.

Cosa voglio proporre allora oggi ai miei cinque lettori che ancora statisticamente mi rimangono dopo la lunga pausa sabbatica ? L'unica cosa che vale la pena di scrivere è parafrasare il bel post di lameduck, quando parla dell'andare in vacanza con i propri animali di affezione.

In due parole, FATELO. Non lasciateli mai a casa, i vostri quadrupedi, tantomeno non abbandonateli da parenti o amici manco fossero soprammobili. La gioia che vi può regalare il vostro animale in vacanza (meglio se cane) è incommensurabilmente superiore alle difficoltà logistiche che potrete incontrare.
Questo vale un po ovunque, tanto più nel salento, dove non solo gli animali sono universalmente ben accetti (persino in spiaggia), ma sono tollerati persino in posti dove da noi chiamerebbero la cavalleria pur di cacciarli, come i minimarket e gli spacci alimentari. E se volete farvi un bel giro in barca, no problem, chiedete il permesso al capitano e mostrategli la docilità del vostro quadrupede, non farà che curarlo per tutto il viaggio, così vi tufferete tranquilli nelle acque cristalline.

Anche in camping potranno generalmente scorazzare tranquilli, senza essere assillati continuamente da vicini molesti che pretendono siano tenuti legati come salami, che solo gli umani possono sporcare per terra senza degnarsi di pulire. (consiglio caldamente il camping S.Isidoro, pulito, economico, poco affollato, splendido).

Unica nota stonata della meravigliosa penisola salentina è la situazione penosa sul versante rifiuti. Raccolta differenziata pressochè inesistente, cassonetti rigorosamente stracolmi e immondizia abbandonata a tutti gli angoli delle strade, persino in alcune spiaggie .. roba che appena tornati a Cesena ti viene voglia di entrare nel primo ufficio di Hera e abbracciarli tutti (scherzo). Ma di questo parleremo prossimamente.