mercoledì 27 ottobre 2010

Gestire il collasso della società

C'è un legame fra la decadenza dell'impero romano, iniziata nel III secolo dopo cristo e conclusasi nel collasso che ha dato origine al Medioevo, e la crisi profonda che sta attraversando la nostra iper-complessa società basata sull'insostenibile sfruttamento dei combustibili fossili ?

Certo che c'è!  Ci sono evidenze convincenti di come il parallelismo fra l'epoca romana e l'epoca contemporanea regga in pieno, ad esempio la stessa incapacità delle società complesse di gestire il cambiamento in modo consapevole e graduale. 

Ma la realtà vince sempre per definizione, e per quanto si possa perseverare nel mantenere il "business as usual" ci si rende conto, ahimè sempre troppo tardi, che non solo il cambiamento è inevitabile, ma anche che se non governato correttamente tende a trasformarsi in "collasso", come reazione automatica al nostro tentativo di mitigarne gli effetti aumentando la "complessità dei sistemi". In questo modo, la soluzione alla crisi diventa costruire le centrali nucleari e i ponti sugli stretti, non certo tentare di rifondare l'economia basandosi sui principi della sostenibilità. 

Chi utilizza burocrazia e spinge verso la crescita della complessità dei sistemi, crede d,i mettere in campo una soluzione, invece peggiora solo il proprio male. Queste cose le si scriveva già negli anni 70 quando fu presentato il fondamentale libro "I Limiti dello Sviluppo" del Club di Roma.

Se volete approfondire questo argomento, che personalmente giudico l'unica cosa di cui oggi dovrebbe occuparsi la politica, posso segnalarvi questo ottimo articolo, la cui lettura sono convinto vi ispirerà parecchie considerazioni utili e interessanti per capire meglio tutte le contraddizioni dell'epoca in cui viviamo, e relative conseguenze.

martedì 26 ottobre 2010

Una mappa per il consumo critico e sostenibile

Il consumo critico e sostenibile ha sempre rappresentato un valore fondante per la nostra associazione, la mancanza di consapevolezza verso ciò che mangiamo si riflette infatti sia in ciò che compriamo che soprattutto in come e perché lo compriamo.

Su questo puntano infatti gli ipermercati e i grandi magazzini, in cui l'atto del consumo diviene acritico, compulsivo e legato alla sfera emotiva e irrazionale. In pratica, disimpariamo l'arte di consumare solo ciò di cui abbiamo realmente bisogno, e come risultato usciamo da un ipermercato stracarichi di merce che mai avevamo neppure pensato di acquistare.

Per promuovere una maggiore consapevolezza critica occorre tanta informazione. Un buon punto di inizio è il frequentare un gruppo di acquisto solidale, come il dai gas malatesta di Cesena, oppure usufruire dei tanti punti vendita che offrono prodotti equo-solidali, fino a frequentare regolarmente i farmer market e le aziende agrobiologiche del nostro territorio che offrono vendita diretta al dettaglio.

E' proprio per incentivare la conoscenza del consumo critico locale che la regione Emilia Romagna promuove il progetto PCS, (Produzione e Consumo Sostenibile), con un portale dedicato in cui è possibile consultare le Mappe del Consumo.


La mappa è ancora largamente incompleta, ma sono sicuro che vi stupirete nel trovare nelle vostre vicinanze quel negozietto solidale di cui non sospettavate nemmeno l'esistenza, come anche tanti esercenti che iniziano ad offrire alla clientela prodotti alla spina, latte sfuso, ristorazione a chilometro zero, prodotti bio.

Buona ricerca!

giovedì 21 ottobre 2010

Coop dice Stop alle uova di batteria

Ricordate il recente spot video della Coop a favore dell'acqua pubblica con la Litizzetto testimonial ? Quello dove si recita: “Sapete quanta strada deve fare l'acqua per arrivare a casa nostra ?”.

Per una volta fatemi parlare bene di una azienda italiana della grande distribuzione che, forse proprio in virtù della formula cooperativa, si è distinta per aver sempre saputo reagire prontamente agli scandali alimentari, dal vino al metanolo, agli ormoni nelle carni, ai pesticidi nell'ortofrutta, al disastro della Bse bovina, al pollo alla diossina, fino ad acquisire una certa consapevolezza di consumo critico.

Dai primi di ottobre infatti, sugli scaffali degli oltre 1400 punti vendita della Coop è possibile trovare solo uova di galline allevate a terra, all’aperto o biologiche. Vietate quelle di batteria. E saranno (parzialmente) “salve” ben 1.5 milioni di ovaiole. Per il suo sforzo, inoltre, la nota catena di distribuzione si è recentemente aggiudicata un premio denominato “Good Egg” assegnatole dall’organizzazione internazionale per il benessere degli animali da allevamento “Compassion in World Farming”. Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia, ha così commentato:
Siamo stati i primi a definire degli standard migliorativi di benessere animale nei nostri allevamenti di bovini, suini, avicoli a marchio Coop, i primi ad aderire ai protocolli sui cosmetici non testati sugli animali, i primi ad eliminare le pellicce dai capi del tessile. Ora continuiamo su questa strada non solo per quanto riguarda il nostro prodotto. Molti fornitori hanno riconvertito i loro allevamenti e noi li abbiamo incoraggiati a fare una scelta totalmente alternativa alle gabbie perché, anche se dal 2012 saranno leggermente più grandi, resta comunque uno spazio angusto e innaturale.

La decisione presa dalla nota catena di distribuzione, in realtà, anticipa soltanto l’entrata di un vigore di una direttiva europea già esistente e che promette di consegnare, dal primo gennaio 2012, condizione di vita (un pò) più dignitose alle galline. Ma la strada, in tal senso, è ancora molto lunga. 

L’allevamento di batteria, infatti, com’è noto, è un abominio documentato da più di una fonte che costringe le produttrici di uova ad essere “instancabili” in gabbiette anguste non più grandi di un normale foglio di carta, provocando lesioni e profonde lacerazioni alle zampette delle stesse private persino di una “comoda” base di appoggio e della luce naturale… Eppure, l’allevamento a terra non migliora così tanto la situazione sebbene non vengono toccati tali eccessi… La soluzione migliore pertanto, e l’unica realmente perseguibile, è la scelta dei consumatori verso prodotti di origine animale provenienti esclusivamente da allevamenti biologici regolarmente certificati.

Fonte: EcoBlog

venerdì 15 ottobre 2010

Stop al consumo del territorio

Il MIZ aderisce alla campagna nazionale Stop al consumo del territorio. Perché per fare rinascere la politica occorre riacquistare la capacità di pensare al bene comune.

giovedì 14 ottobre 2010

Un indice verde per i nostri prodotti sostenibili ?

L'idea che viviamo in un mondo proiettato inesorabilmente verso la insostenibilità ambientale è un fatto pressoché assodato e pure accettato dai media.

In linea con questa idea è stato il recente intervento al forum internazionale di Cuneo di Friedrich Hinterberger, fondatore e presidente del Seri di Vienna, il Sustainable Europe Research Institute, che ha lo scopo di analizzare il consumo delle risorse naturali:

Ogni abitante del Nord America ne consuma 90 chili al giorno,un europeo in media 45, un africano 10. E la cosa che crea più ingiustizia sociale è che laddove si estraggono le materie prime spesso non si consumano. Ma il modello occidentale non può essere trasferito ai dieci miliardi di persone che saremo tra pochi decenni: in questo quadro di squilibrio e ingiustizia sociale dobbiamo scegliere se andare verso un modello sostenibile o insostenibile.

Per mantenere un modello di sviluppo sostenibile, ogni abitante del mondo dovrebbe però consumare 15 chili al giorno di risorse. Il primo imperativo è quindi consumare di meno. Ma come? Secondo lo studioso è necessario un sistema di etichettamento “verde”: sulle etichette dei prodotti che acquistiamo dovrebbero essere aggiunte le informazioni sulla sostenibilità del prodotto, cioè sull’impronta di carbonio che ogni prodotto lascia.
Non possiamo controllare quello che non possiamo misurare. Abbiamo bisogno di target quantitativi che ci indichino con precisione come usare meno risorse.

Consumare di meno può essere una scelta oppure una necessità, per il maggiore costo delle materie prime e per il guadagno minore di ognuno. Ed ecco allora il secondo imperativo: lavorare tutti di meno.

Secondo lo studioso, bisognerebbe lavorare tutti con un orario part-time e comunque non più di trenta ore a settimana. Scelta che fa guadagnare di meno ma che fa lasciare una minore impronta di carbonio e che fa vivere meglio perché dà una maggiore qualità della vita. 

Mentre sono d'accordo in linea di principio con l'idea che dovremmo tutti lavorare di meno (aggiungerei anche lavorare meglio e per cose più utili), rimango invece molto scettico sull'approccio degli indicatori verdi. Qualsiasi indice “verde” sarà inevitabilmente incompleto e soggetto a grossolani errori, così come lo sono tanti altri famosi indicatori sintetici, incluso il famigerato PIL.

Non solo dovrebbe essere chiaro e trasparente il modo in cui questi indicatori si calcolano, ma bisogna anche verificare se questo calcolo abbia un “senso”.

Cosa dovrebbe indicare in termini di sostenibilità ? Possibile che oggi un pensiero un po sempliciotto tenda a far passare per sostenibile solo ciò che produce poca CO2 ??

Ci vorrebbe come minimo il consumo di energia primaria, di acqua, di risorse minerali fossili non rinnovabili (le cose non sono fatte di solo petrolio o carbone), poi andrebbero considerate altre variabili come l’efficienza, la durabilità, la capacità di produrre rifiuti, la scarsa propensione alla riparabilità, la semplicità di utilizzo, la fruibilità, la capacità di soddisfare un bisogno.

Insomma, possiamo inventarci tutti gli indici che vogliamo per i nostri prodotti, saranno sempre incompleti e al massimo si presteranno per una indagine comparativa.

Il percorso alla sostenibilità può essere soltanto culturale, altrimenti rischiamo di infondere l’illusione che esistano prodotti sostitutivi, altrettanto validi, che abbiano come scopo quello di mantenere il nostro status di consumatori, senza mettere mai realmente in crisi il paradigma (quello si insostenibile) su cui è fondata la nostra vita di appartenenti al mondo civilizzato: Vali perché consumi!

giovedì 7 ottobre 2010

Il nucleare nel mondo, in ripresa o in declino ?

Produzione di energia globale da fonte nucleare (IEIA)
Chi non guida il cambiamento, si limita ad analizzarne l'andamento. E' questa in sintesi la questione che pone in contrapposizione Lega-ambiente, non favorevole ad un ritorno del nucleare in Italia, e Chicco Testa, ex ambientalista (anzi fondatore) di Lega-Ambiente, ora principale promoter del rilancio dell'energia dall'atomo.

Il grafico mostra, suddiviso per aree continentali, l'andamento complessivo della fornitura globale di energia da fonte nucleare. Mentre Lega-Ambiente ne ravvisa i termini di un declino irreversibile, Chicco testa afferma invece che le stesse informazioni sono indice in una avanzata inarrestabile, chi ha ragione ordunque ?
Nessuno dei due! Per interpretare i grafici bene, occorre fare riferimento a un "modello".

Coloro che vedono nel grafico una diminuzione, cercano in realtà di approssimarlo (in gergo si dice “fittarlo”) con una campana logistica, (tipo quella del picco del petrolio di Hubbert per intenderci), con l’intenzione di dimostrare appunto che siamo in presenza di un “picco”, pertanto di una imminente diminuzione della produzione complessiva.

Coloro che vedono nel grafico un aumento, tendono a “fittarlo” con una approssimazione lineare, ignorando l’andamento degli ultimi anni (magari attribuibili ad una crisi economica non strutturale), pertanto ne vedono l'evidenza di una imminente crescita.

In realtà, stabilire quale delle due "visioni" è quella corretta, non è un impresa così semplice. La zona piatta degli ultimi 10 anni, può essere dovuta a una ridistribuzione degli impianti dislocati in senso globale.. chiudono per obsolescenza molti impianti nei paesi occidentali, senza essere rimpiazzati da altrettanti di potenza equivalente, mentre aumentano enormemente i progetti di nuovi impianti in Asia, specialmente in Cina, paese con un programma nucleare molto attivo. 

Se volete saperne di più consultate questo interessante database degli impianti in costruzione nel mondo.

Qualche indicazione utile e poco ambigua il grafico comunque riesce a darla. Ad esempio, esattamente dal 1986, anno dell'incidente di Cernobyl, la pendenza della crescita è diminuita nettamente, quasi dimezzandosi.

Io sono personalmente convinto della interpretazione “a campana”, pertanto il contributo futuro globale del nucleare temo non supererà di molto quello di oggi, soprattutto a causa dei costi insostenibili di costruzione e della carenza cronica di Uranio sufficientemente concentrato (minerale non rinnovabile). 

Ma so di essere di parte. Il tempo chiarirà la situazione.