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martedì 13 aprile 2010

Reggio Emilia apre un negozio alla spina e a Km0





Reggio Emilia fa da apripista in regione Emilia Romagna aprendo il primo negozio che serve solo prodotti alla spina e a Km0, analogo del toscano Effecorta di Capannori del quale abbiamo già parlato. Gestito da una giovane coppia (Emanuela Ferrari e Paolo Boni), si chiama semplicemente "Alimentari point" ed è stato appena inaugurato lo scorso 10 Aprile 2010. Si trova in via Buozzi, 2 a Reggio Emilia.

Scelte come queste sono importanti, poichè mostrano come con piccole buone idee si possa affrontare gradualmente una trasizione verso una società a rifiuti zero. Tutte le pubbliche amministrazioni dovrebbero incentivare e favorire la nascita di attività di questo tipo, che sono al contempo economiche ed educative.

Alla inaugurazione sono intervenute diverse personalità note nel mondo della sostenibilità ambientale. Da Maurizo Pallante, scrittore ed esperto di tematiche ambientali ed energetiche e fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, a Marco Boschini, assessore di Colorno e coordinatore associazione Comuni Virtuosi, a Walter Ganapini, ambientalista reggiano ex assessore tecnico all’ambiente della Regione Campania ed in passato del Comune di Milano. Per finire a Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle-Beppegrillo.it ed i consiglieri comunali e circoscrizionali di Reggio 5 Stelle.

Acquistare alimentari sfusi (pasta, cereali, legumi, caffè, caramelle) permette di evitare l'uso di imballaggi di plastica, carta e cartone, riducendo i rifiuti che produciamo e il nostro impatto ambientale. Si tratta anche di un risparmio per i comuni, che avranno meno materiale da smaltire. Se fossero capillarmente diffusi si avrebbe un doppio risparmio per il cittadino, sia come tariffa rifiuti che come costo della merce acquistata.  Il costo di una confezione si aggira infatti in media intorno al 30% del costo del prodotto, ma in alcuni casi costa più il contenitore che il contenuto!

Ora che Reggio Emilia ha aperto la strada, auguriamo al nuovo negozio un grande successo, confidando che anche nel nostro territorio nasceranno presto attività simili.

mercoledì 18 novembre 2009

Nasce il progetto "Orto in Condotta"



di Andrea Degl'Innocenti - Terranauta.it

Probabilmente per un bambino di oggi è più “naturale” stringere fra le mani un mouse, un cellulare o un joystick piuttosto che un pomodoro. L’ortaggio lo avrà visto a volte impacchettato e impilato negli scaffali dei supermercati o spezzettato in qualche zuppa con ogni probabilità preconfezionata (non è retorica, da uno studio della rivista Dimagrire del 2006 emerge che 7 italiani su 10 preferiscono i cibi preconfezionati).

Così in un processo di ribaltamento della prospettiva tipico dell’era moderna, ciò che è più naturale, anzi è frutto principe del rapporto fra uomo e natura e ancora oggi è alla base della nostra alimentazione, diventa strano, lontano, sconosciuto. Chiunque può sopravvivere in una città d’oggi senza sapere com’è fatta una pianta di zucchine, come si coltiva una melanzana, se le carote crescono sugli alberi o sotto terra.

Per fortuna qualcuno si è accorto di questo assurdo controsenso e ha tentato di porre rimedio. Già dagli ultimi anni ottanta l’associazione Slow Food (nata in Italia, a Bra nel 1986 ed in poco tempo divenuta internazionale) promuove la creazione di orti urbani. Intorno alla metà degli anni novanta Slow Food USA partorì l’iniziativa “The Edible Schoolyard”, che incentivava lo sviluppo degli school garden, orti educativi affidati alle scuole in cui i bambini imparano a coltivare gli ortaggi e a sviluppare un rapporto più sano con la natura.

Il progetto si è in breve diffuso in tutto il mondo, giungendo in Italia nel 2003 con il nome di “Orto in condotta”.

Gli orti scolastici in Italia sono ben 224, più del doppio delle più rosee aspettative. Ieri l'altro, 11 novembre, in occasione del giorno di San Martino che segna la fine dell’anno agrario, tutte le scuole aderenti all’iniziativa hanno partecipato alla Festa degli Orti in condotta, un ideale incontro che ha coinvolto studenti, insegnanti, genitori e nonni. E una buona occasione per tirare le prime somme dell’iniziativa.

I numeri sono più che confortanti: tre anni fa Slow Food Italia parlava di realizzare 100 orti scolastici entro il 2009, e il progetto sembrava ambizioso; oggi, che del 2009 viviamo gli ultimi mesi, gli orti scolastici in Italia sono ben 224, più del doppio delle più rosee aspettative.

Il segreto sta nell’entusiasmo di insegnanti, bambini e intere famiglie (nonne e nonni compresi), ben espresso dalle parole di Franca Manzoni, maestra di Montale Pistoiese. “A settembre, i ragazzi non sanno neppure che le carote o le patate nascono sottoterra. E non sono convinti di doversi sporcare le mani con la terra proprio a scuola, ma ben presto si lasciano conquistare. Alla fine dell’anno, quando alla mensa si ritrovano nel piatto il radicchio trevigiano, lo scansano, chiedono l’insalata del nostro orto. E consigliano alle mamme le cose giuste da comprare al supermercato”.

La terra fa paura perché è sporca, lascia macchie visibili sul corpo e sulle mani. E nella società di oggi ciò che si vede esiste, e fa paura.

In totale sono 16.800, i baby-coltivatori, aiutati da 1400 insegnanti e da oltre 11.500 genitori e nonni.
Sparsi in 19 regioni, capofila la Toscana con 49 orti seguita dal Piemonte con 41. Chini a terra, imparano a seminare, annaffiare, coltivare e ad osservare i frutti del proprio lavoro. Vedono la terra nuda, non nascosta sotto lingue d’asfalto e di cemento, l’annusano, vi affondano le mani.

La terra fa paura perché è sporca, lascia macchie visibili sul corpo e sulle mani. E nella società di oggi, la società dell’immagine, ciò che si vede esiste, e fa paura. Ciò che non si vede, non esiste. Dunque bando a diossina, ogm, nanoparticelle: chi le ha mai viste? Condanniamo piuttosto l’orto del nonno e i suoi carciofi e la lattuga sporca di fango: quanti germi si annideranno in quei grumi di terriccio? Nessuna mamma “sana di mente” lo farebbe mangiare al figlioletto senza prima averlo cosparso di amuchina.

Vincere la paura della terra significa comprendere che quanto più un alimento è vicino alla terra, prodotto seguendo i suoi ritmi e le sue leggi, tanto più sarà sano; viceversa quanto più è modificato, alterato, lontano dalla terra, sigillato, confezionato, lucido, tanto più sarà, probabilmente, nocivo.

A questo servono gli orti scolastici: ad educare i bambini, fin da piccoli, a un diverso rapporto con il cibo, al valore della biodiversità e al rispetto dell’ambiente. Ad amare la terra, sperando che da grandi se lo ricordino.

Il programma e l’elenco delle scuole che aderiscono alla giornata sono disponibili sul sito di Slow Food.

domenica 12 ottobre 2008

Il progetto Better Place, finalmente liberi dal petrolio?

Wired, un famoso mensile americano che tratta di come la tecnologia influenzi la cultura, l’economia e la politica, ha dedicato la copertina del suo ultimo numero a Shai Agassi (nella foto) con questo titolo: “Il piano di un uomo audace per cambiare il modo di guidare del mondo”. Il suo piano consiste nella creazione di un network di auto elettriche autonome che usino la tecnologia già disponibile nel mercato, con l’obiettivo di assicurare un trasporto sostenibile, indipendenza energetica globale e libertà dal petrolio.

La sua idea è in sostanza diffondere l'auto elettrica come se fosse un telefonino, cioè con le stesse modalità con cui si diffondono i telefonini, ad esempio la creazione di oggetti che fungano da status symbol e la loro immediatezza e semplicità d'uso. Analogamente a quanto già avviene con i telefonini, la strategia di marketing prevede infatti che l'auto sia gratuita, mentre il pagamento avverrebbe al consumo di energia, attraverso una rete infrastrutturale capillare di colonnine di ricarica predisposte. E' una idea folle e visionaria, pertanto potrebbe davvero funzionare!

Per il progetto "Better Place", di cui Agassi è fondatore e amministratore delegato, c’era bisogno di intervenire ora, con la tecnologia a disposizione. Produrre motori ad idrogeno con celle a combustibile è considerata ancora troppo latente, mentre le macchine ibride non sono considerate come una vera e propria alternativa in quanto basano il loro uso, anche se in una minore quantità, sul petrolio e quindi non ci rendono realmente indipendenti da esso.

Better Place insieme a partners di tutto il mondo - come costruttori di auto, fabbricanti di batterie, compagnie di energia e governi - ad oggi ha già la capacità di costruire un network di auto elettriche. Il sistema si basa su colonnine di ricarica, da collegare alle batterie elettriche dell'auto, in zone strategiche come posti di lavoro, parcheggi, ristoranti o abitazioni, in modo da fornire una costante ricarica per le batterie e garantire un’autonomia di circa 160 km.

Quando vengono effettuati viaggi più lunghi di 160 km apposite aree di servizio assicurano un cambio di batteria; queste aree, completamente automatizzate, assicurano un cambio di batteria rapido (più veloce di un normale pieno di benzina) e senza dover scendere dall’automobile.

Better Place cerca in questo modo anche di risolvere il problema dell’energia rinnovabile perduta in quanto non immagazzinata, sfruttando i momenti in cui vi è un surplus di produzione come nelle ore serali per accumulare l’energia nelle batterie.

Israele e Danimarca hanno già affermato che parteciperanno al progetto e saranno le prime due nazioni ad aderire sebbene per motivi diversi: politici (non dipendenza dal petrolio nel primo caso) e di politica energetica (elevata dipendenza da energia eolica nel secondo). Ora sono ben accetti tutti gli altri paesi che vogliano fare parte di questo vantaggioso progetto nel quale sono direttamente coinvolte anche la Renault e la Nissan, che ovviamente forniranno le autovetture.

Naturalmente tutto ha un senso fino a quando l’elettricità viene prodotta con fonti rinnovabili, ed è proprio questa la direzione – visto che per quanto riguarda la fase dell’uso una soluzione è stata ora trovata – che i vari governi dovrebbero seguire.

Fonte: BuoneNotizie.it