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venerdì 30 settembre 2011

Il bilancio del bidone

Ci sono persone che predicano la sostenibilità e i buoni stili di vita, ce ne sono altre invece che davvero tentano di mettere in pratica nel quotidiano le cose in cui credono. Dal gennaio del 2011 una giovane coppia di Cesena, Chiara Benedetti e Paolo Montevecchi con i loro due figlioletti Davide e Matteo ci stanno davvero provando, a vivere ad impatto zero!

Da quasi un anno mantengono infatti un blog dal nome Il Bilancio Del Bidone, dove settimana dopo settimana raccolgono le loro esperienze sul tentativo di vivere per quanto possibile senza produrre rifiuti. Il blog è davvero ben fatto e pieno di consigli utili, dai pannolini lavabili alla autoproduzione del pane

Per ogni attività casalinga (da loro direttamente sperimentata) c'è una interessante valutazione di quanto rifiuto viene realmente risparmiato, i pro e i contro, come sono cambiate le loro abitudini, quali sacrifici sono stati realmente necessari. Il loro obiettivo è di arrivare a una riduzione dell'80% sull'ammontare totale dei rifiuti prodotti in un anno.

Oggi sono arrivati alla 38-esima settimana della loro battaglia,e la loro tenacia ci ha incuriosito al punto da decidere di rivolgere loro una breve intervista, che gentilmente ci hanno concesso. Vi avviso che è un po lunghetta, ma ne vale veramente la pena. L'intervista è a cura degli amici Gabriella Severi e Stefano Fabbri.

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Come’è venuta l’idea?
Siamo partiti da percorsi mentali differenti. L’idea ci è venuta due anni fa, quando sono nati i nostri due figli, Davide e Matteo. Paolo voleva utilizzare i pannolini lavabili, per una questione esclusivamente ecologica, visto che non comporta un grande risparmio economico (la famiglia Montevecchi possiede 20 pannolini, che di solito è il quantitativo per un solo bambino, ndr). L’utilizzo dei pannolini lavabili è stato sicuramente l’aspetto più traumatico della nostra esperienza; sono dotati di un velo protettivo, che in realtà protegge ben poco; il pannolino, infatti, si sporca parecchio e deve essere lavato a mano (sul blog il commento di Paolo è scuramente esaustivo!). Questo ci ha creato qualche problema all’asilo, dove ci è stato chiesto di utilizzare i pannolini usa e getta. Abbiamo deciso di accettare la richiesta, senza fare troppe resistenze.
La nostra idea è quella di portare avanti questi comportamenti per sempre, anche perché le scelte troppo complicate le abbiamo scartate a priori, come per esempio staccare il frigorifero.
Un’altra ragione che ci ha spinto a provare questa esperienza è stata la buchetta della posta sempre piena di pubblicità: ogni famiglia è  bombardata quotidianamente da una quantità eccessiva di messaggi pubblicitari. Non credo che esistano famiglie che vogliano comprarsi un televisore nuovo ogni mese!? Abbiamo conservato la pubblicità di una settimana e l’abbiamo pesata: mezzo chilo di carta! Ci è sembrata un’esagerazione!

E’ un progetto indipendente?
La nostra è stata un’idea assolutamente indipendente. L’idea di fare il blog, di sistematizzare le nostre idee e le nostre esperienze è nata dalla puntata di Report sulle transition towns.
Quindi, abbiamo cercato su internet quello che si poteva fare per modificare i nostri stili di vita; molte idee sono nate leggendo forum vegani e blog tematici. Abbiamo confrontato le soluzioni e abbiamo cominciato a sperimentare, un esperimento a settimana.

Come vi organizzate? Avete un planning?
Abbiamo preparato un piano di sperimentazione, trovando 30 argomenti, poi portati a 52, per completare l’anno. Questa esperienza ci ha fornito diversi spunti, permettendoci di scoprire tante cose, che riguardano la nostra salute, e di modificare alcune nostre abitudini, alimentari e non, come per esempio la riduzione del consumo di carne.

Dal punto di vista economico avete notato qualche cambiamento?
Prima di iniziare il nostro percorso, volevamo fare il calcolo delle spese, ma purtroppo siamo riusciti a farlo solo per il primo mese; quindi, non avendo stilato un vero e proprio bilancio, non abbiamo la percezione di quanto si possa risparmiare. Di certo, abbiamo apportato sensibili riduzioni di consumo al nostro stile di vita: io (Paolo), per esempio, ho smesso di andare a lavorare in auto; da diversi mesi non acquistiamo vestiti, non compriamo giocattoli da Natale. Le persone che ci stanno accanto, amici e parenti, continuano a fornirci qualsiasi tipo di bene, credendo di farci un piacere, ma in realtà la nostra è una scelta volontaria e consapevole.
Acquistiamo materie prime, in grandi quantitativi, perché costano meno e producono meno rifiuti. Ogni tanto, per esempio, compriamo il latte direttamente in fattoria e lo utilizziamo sia per il consumo tradizionale sia per fare formaggi. Anche se il fatto di avere due bambini piccoli ci porta a consumare moltissimo latte, almeno un litro al giorno, e a volte siamo costretti ad acquistare il latte al supermercato qui vicino.

Fino ad ora come sta andando?
In questi mesi è aumentata in noi la consapevolezza di cosa mangiamo e di cosa produciamo in termini di rifiuti. I miei nonni (Chiara) facevano il formaggio in casa; i miei genitori lo hanno sempre visto fare, ma non hanno appreso questa tradizione e soprattutto non l’hanno tramandata a me. Il fatto di dover apprendere tramite internet come produrre del formaggio, quando nella famiglia dei miei veniva fatto in casa, la considero una grossa perdita dal punto di vista culturale. Ora i miei nonni non ci sono più e mi piacerebbe perlomeno imparare dai miei genitori come coltivare l’orto.

Avete “contagiato” qualcuno a voi vicino?
La nostra esperienza ha contaminato poco chi ci sta intorno. Ci sono persone che sono già predisposte a un certo genere di comportamento consapevole, alcune coppie ci hanno seguito, mentre da parte delle nostre famiglie abbiamo avuto un po’ di ostruzionismo. Ci piacerebbe parlare e condividere la nostra esperienza anche con i vicini di casa e le famiglie del nostro quartiere, ma ancora non lo abbiamo fatto.


Cosa non è andato a buon fine cosa invece vi ha dato grande soddisfazione?
La cosa che ci è venuta peggio in assoluto è stato il gelato. Quello continueremo a comprarlo in gelateria. E un altro tentativo fallimentare è stato quello della coppetta mestruale: su internet ho letto moltissime recensioni positive, ma io non mi sono trovata per niente bene.
Mentre, per quanto riguarda le cose che ci sono venute bene, abbiamo provato grande soddisfazione nel fare il pane e i detersivi. Siamo molto contenti di utilizzare prodotti che non intossicano, come per esempio l’argilla che utilizziamo come shampoo.

Il ruolo di Internet è stato importante?
E’ stato fondamentale. Si possono ottenere informazioni e conoscenze immediate e, nel nostro caso, ci hanno permesso di soppiantare la mancanza di trasmissione di tradizioni, come quella del formaggio.
Esistono tantissimi siti che parlano di esperimenti ed esperienze simili alla nostra, ma ci sembravano quasi tutti scatole vuote, dove sembrava più importante il messaggio dell’azione. Noi, invece, abbiamo provato a comunicare con l’esterno a modo nostro: il nostro blog è costituito da schede tematiche, che chiunque può leggere e mettere in pratica. L’obiettivo del blog è quello di dare spunti alle persone.

Cosa acquistate?
Non facciamo molti acquisti, anche se è difficile organizzare la spesa a lungo termine. Per noi è più importante la riduzione del rifiuto rispetto all’alimento biologico. Compriamo pasta, poca, cereali come riso e farro, e un po’ di carne; nel corso del bilancio del bidone abbiamo appreso quanto spreco di acqua  sia necessaria per l’industria durante macellazione e quanti danni arrechi alla salute l’utilizzo frequente di questo alimento, siamo quindi diventati più responsabili nell’acquisto e nel consumo di carne. Il resto, pane e formaggio, lo produciamo in casa. Coltiviamo un piccolo orto ad uso personale e acquistiamo i legumi al mercato, purtroppo non li abbiamo ancora trovati sfusi.

I G.A.S.: Avete qualche consiglio o critica costruttiva rivolta ai Gruppi di Acquisto Solidale?
Troppi rifiuti ed imballaggi. Abbiamo acquistato due chili di parmigiano e ci sono stati dati due tocchi separati, ognuno con il proprio imballaggio. Ci è sembrato uno spreco. Indubbiamente, il fatto che la nostra priorità sia la riduzione dei rifiuti piuttosto che il mangiar sano non implica che tutti debbano pensarla come noi, però ci sembra giusto farlo presente e condividerlo con gli altri. Il Gas ha potenzialità incredibili; si vede che c’è fermento. Sono organizzazioni che hanno un’architettura molto solida e secondo noi la riduzione dei rifiuti e il mangiare biologico sono due aspetti che possono coesistere.

Se il vostro esperimento finisse oggi, l’obiettivo di riduzione si potrebbe considerare raggiunto?
Siamo partiti dicendoci “peseremo tutto”. In realtà non lo facciamo quasi mai. Produciamo ancora troppi rifiuti di carta, per via degli imballaggi del cibo, come il latte o le pubblicità in buchetta! Nel periodo dal 12 luglio al 12 agosto abbiamo prodotto 447 gr di indifferenziata e ci sembra un buon risultato, mentre di umido ne produciamo ancora tanto, in quanto gli scarti di frutta e verdura pesano molto, ma ci stiamo attrezzando per richiedere una compostiera.

Per quali motivi consigliereste ad una famiglia di seguirvi nella riduzione dei rifiuti domestici?
Riteniamo che sia umanamente degradante buttare via dell’immondizia. Ogni volta che buttiamo qualcosa nel bidone pensiamo sempre che possa far male a qualcuno! Produrre rifiuti ci sembra una cosa troppo complessa; sembra assurdo, ma il nostro comportamento semplifica la vita.
Quando si acquista un prodotto, bisogna pensare di adottarlo, di doversene prendere cura e di non poterlo portare al bidone. In questo modo si diminuirebbe l’acquisto. Per esempio, noi donne siamo incentivate all’acquisto di riviste che prevedono un regalo. Se penso di dovermelo tenere per i prossimi 60 anni e che posso tranquillamente farne a meno, probabilmente eviterei di comprarlo. Bisogna pensare come se non esistessero bidoni in strada.

Voi non guardate la TV, è utile per acquistare meno?
Non guardare la tv può sicuramente influire. La tv induce all’acquisto. Ridurne il consumo ha lasciato più posto alla spazio relazionale. Si sente meno bisogno del consumo, un po’ come la passeggiata al parco anziché in centro, con tutte le vetrine che invogliano inevitabilmente il consumatore.

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La conclusione di questa intervista è che ridurre i rifiuti è possibile ed anche piacevole. In casa Montevecchi i giocattoli spesso vengono creati con materiali di riciclo, come ad esempio i cartoncini del cibo per gatti, dove sono raffigurate sagome rappresentanti la quotidianità di questa famiglia ( loro stessi, la bici con carrellino per bimbi, i rifiuti ed i loro contenitori), in questo modo si dà maggiore consapevolezza ai bambini circa l’importanza delle scelte che vengono fatte. 

L’idea di ridurre i rifiuti, lentamente li ha portati a conoscere meglio cosa mangiamo e consumiamo ogni giorno, per indurli a scelte consapevoli nell’acquisto di alimenti sani e qualitativamente migliori e ad utilizzare ciò che è strettamente necessario e compatibile con l’ambiente. 

Il loro stile di vita sobrio ci ricorda i saggi consigli di Serge Latouche, spesso citato anche da Paolo e Chiara. I Montevecchi sono davvero un esempio da emulare sotto molti punti di vista e consultando il loro sito sicuramente troverete degli spunti di riflessione per il vostro futuro. 



lunedì 8 agosto 2011

La sostenibilità e lo stato stazionario nella cultura Giapponese

Questa che segue è la trascrizione più o meno letterale di un discorso che Ugo Bardi ha tenuto nel marzo scorso, al centro di cultura giapponese e Judo "Kosen Dojo" di Firenze. La sua lettura vale sicuramente il tempo speso, in ogni singola parola, per le profondissime implicazioni che collegano inaspettatamente la cultura giapponese con quella folle rincorsa al "mantra" della crescita tipica della civiltà dei nostri giorni.



<< Signore e signori, prima di tutto lasciatemi dire che nella mia carriera ho tenuto molte presentazioni su energia e sostenibilità, ma questa è la prima volta che mi capita di farlo seduto a gambe incrociate a terra su un tappeto giapponese, un tatami. Però, lasciatemi aggiungere che è un vero piacere farlo, ed è un piacere speciale farlo in un dojo, ai piedi del ritratto di Kano Jigoro, il fondatore del Judo moderno. Effettivamente sono stato anch’io un judoka, anche se devo dire che non pratico da un po’. Insomma questo posto mi ricorda moltissimo il Giappone, dove ho vissuto e sono stato molto bene, anni fa; e come sapete i recenti avvenimenti di Fukushima hanno sollevato il problema dell’energia e della sostenibilità in Giappone e nel mondo intero.

Il popolo giapponese ha subito più sofferenze di qualunque altro a causa della nostra cattiva gestione dell’energia atomica. Quella del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, nel 1945, è triste storia. Magari qualcuno di voi ha avuto la possibilità di visitare queste città – io le ho visitate entrambe, e vi posso dire che la memoria di quegli eventi non è qualcosa che si riesce a ignorare facilmente. Ovviamente, al confronto l’incidente nucleare di Fukushima è stato cosa da poco. Ma rimane che è difficile per noi – intendo noi umanità – gestire l’energia nucleare. Forse è semplicemente una cosa troppo grande e complessa.

Comunque, lasciamo perdere i pro e i contro dell’energia atomica; non è di questo che voglio discutere con voi oggi. Piuttosto, credo che possiate essere interessati a parlare un po’ della cultura giapponese. Il semplice fatto che siamo tutti seduti sul pavimento su un tatami giapponese vuol dire che la cultura del Giappone ha un’influenza su di noi, proprio come ha avuto influenza sulla cultura occidentale in molti campi – pensate solo ai manga! Perciò, quello che vorrei fare oggi è discutere di ciò che possiamo imparare dal Giappone in termini di sostenibilità.

Lasciatemi cominciare con qualche parola sulla storia del Giappone. Conoscete sicuramente il periodo “Heian” o “Imperiale”, iniziato tanto tempo fa: questo fu il periodo “classico” della storia giapponese. Il periodo Heian ha poi lasciato il campo a un’età di guerre civili: il sengoku jidai, l’epoca dei Samurai. Diversi film l’hanno dipinto come un’epoca romantica, ma sono sicuro che la gente che ci viveva non la trovava molto romantica; era un periodo di continue battaglie, e doveva essere parecchio dura per tutti. Ad ogni modo, questa fase storica finì quando Tokugawa Ieyasu emerse da vincitore delle guerre e divenne shogun, reggente di tutto il Giappone. Questo succedeva intorno all’anno 1600, e cominciò allora il periodo “Edo”, che fu molto più tranquillo. Il periodo Edo durò finché il Commodoro Perry non arrivò con le sue “navi nere” a metà del 19° secolo, il che diede inizio all’età moderna.

Ora, i due secoli e mezzo del periodo Edo sono molto interessanti dal punto di vista della sostenibilità. Non fu solo un periodo di pace; fu anche un’epoca di economia stabile e popolazione stabile. In effetti, non è del tutto vero, perché la popolazione del Giappone aumentò nella prima parte del periodo Edo; ma arrivata a 30 milioni restò quasi costante per circa due secoli. Non ho notizia di altre società nella storia che hanno vissuto un simile periodo di stabilità. Era un esempio di quel che oggi chiamiamo “economia di stato stazionario”.

Il motivo per cui la maggior parte delle civiltà non riescono a raggiungere uno stato stazionario è che è troppo facile sovrasfruttare l’ambiente. E’ qualcosa che non ha a che fare solo con i combustibili fossili: è tipico anche delle società agricole. Se tagliate troppi alberi, il suolo fertile viene lavato via dalla pioggia. E poi, senza terra fertile da coltivare, la gente muore di fame. Il risultato è il collasso – una caratteristica comune di gran parte delle civiltà del passato. Qualche anno fa, sull’argomento Jared Diamond ha scritto un libro, intitolato proprio “Collasso”.

C’è un punto interessante di Diamond a riguardo delle isole. In un’isola, dice Diamond, ci sono risorse limitate – molto più limitate che sul continente – e le opzioni a disposizione sono limitate di conseguenza. Quando sei a corto di risorse, mettiamo di terreno fertile, non puoi emigrare e non puoi attaccare i vicini per ottenere risorse da loro. Puoi solo adattarti, o perire. Diamond cita diversi casi di piccole isole nell’oceano Pacifico in cui l’adattamento era molto difficile ed i risultati sono stati drammatici, come nel caso dell’isola di Pasqua. In alcune isole davvero piccole, adattarsi è risultato talmente difficile che gli esseri umani sono semplicemente scomparsi. Sono morti tutti, e basta.

Il che ci porta al caso del Giappone: che è un’isola, naturalmente, anche se grande. Ma alcuni dei problemi che si avevano con le risorse dovevano essere gli stessi di tutte le isole. Il Giappone non possiede molto in termini di risorse naturali. Moltissima pioggia, per lo più, ma poco altro, e la pioggia può fare molti danni se le foreste non sono ben amministrate. E ovviamente in Giappone lo spazio è limitato, il che significa che c’è un limite alla popolazione; almeno finché essa dipende dalle risorse locali. Io credo che a un certo punto nel corso della storia i giapponesi abbiano raggiunto il limite massimo di quel che potevano fare con lo spazio a disposizione. Ovviamente ci volle del tempo: il ciclo è stato molto più lungo che su una piccola isola come l’isola di Pasqua. Ma potrebbe perfettamente essere che le guerre civili furono una conseguenza del fatto che la società avesse raggiunto un limite. Quando non c’è abbastanza per tutti, le persone tendono a combattere fra di loro, ma è ovvio che non sia questo il modo migliore per gestire la scarsità di risorse. Perciò, a un certo punto i giapponesi dovettero smettere di lottare, dovevano adattarsi o morire – e si adattarono alle risorse che avevano. Era l’inizio del periodo Edo.

Per arrivare a uno stato stazionario, i giapponesi dovevano gestire al meglio le risorse a disposizione, ed evitare di sprecarle. Una cosa che fecero fu liberarsi degli eserciti del periodo delle guerre. La guerra è semplicemente troppo costosa per una società a stato stazionario. Poi, fecero grossi sforzi per mantenere le foreste ed incrementarle. Potete leggere qualcosa a riguardo nel libro di Diamond. Il carbone di Kyushu forse aiutò un po’ a risparmiare gli alberi, ma il carbone da solo non sarebbe stato abbastanza – fu la gestione delle foreste a fare la differenza. Il governo amministrava i boschi a livello di singola pianta: un’impresa notevole. Infine, i giapponesi riuscirono a gestire la popolazione. Probabilmente fu questa la parte più difficile, in un tempo che non conosceva contraccettivi. Da quel che ho letto, ho capito che i poveri erano obbligati a praticare più che altro l’infanticidio, e questo doveva essere atroce per i giapponesi, come sarebbe per noi oggi. Ma le conseguenze del lasciar crescere la popolazione senza controllo sarebbero state terribili: per cui, erano costretti a farlo.

Noi tendiamo a vedere l’economia a stato stazionario come qualcosa di molto simile alla nostra società, solo un po’ più tranquilla. Ma il periodo Edo del Giappone era molto diverso. Di certo non era il paradiso in terra. Era una società estremamente regolata e gerarchica, in cui sarebbe stato difficile trovare – o anche solo immaginare – qualcosa come “la democrazia” o “i diritti umani”. Nonostante ciò, il periodo Edo fu una realizzazione notevole, una società molto raffinata e ricchissima di cultura. Una civiltà di artigiani, poeti, artisti e filosofi. Creò alcuni dei tesori d’arte che possiamo ammirare ancora oggi, dalle spade katana alla poesia di Basho.

Insomma, i giapponesi ce la fecero a creare una società estremamente raffinata che riuscì a esistere in uno stato stabile per più di due secoli. Non credo che nella storia ci siano molti casi paragonabili. Perché il Giappone ebbe successo dove molte altre civiltà nella storia avevano fallito? Be’, penso che il fatto di essere un’isola fosse un enorme vantaggio. Questo proteggeva da gran parte delle ambizioni dei popoli confinanti, e anche dalla tentazione che potevano avere gli stessi giapponesi di invadere i loro vicini. E se non hai una terribile paura di essere invaso (e non hai intenzioni di invadere nessuno), allora non hai motivo di mantenere un grosso esercito, né di far crescere la popolazione. Puoi concentrarti sulla sostenibilità e sulla gestione di quel che hai a disposizione. Poi, naturalmente, quando il Commodoro Perry e le sue navi nere arrivarono, il Giappone non fu più un’isola, nel senso che smise di essere isolato dal resto del mondo. Così la crescita ripartì. Ma, finché il Giappone restò isolato, l’economia rimase in uno stato stazionario e, come ho detto, questa era una conquista straordinaria.

Però non credo che il fatto di essere un’isola spieghi tutto del periodo Edo. Io penso che esso non sarebbe stato possibile senza un certo grado di saggezza. O forse un termine più corretto in questo caso è “sapienza”.

La saggezza o la sapienza non sono cose che si possano quantificare o attribuire a persone specifiche. Ma io ritengo che il Giappone, nella sua interezza, aveva raggiunto un certo livello di – diciamo così – “illuminazione”. Comprendetemi: mi riferisco al periodo Edo. So bene che oggi il Giappone è pieno di posti orribili come la maggior parte dei luoghi del mondo occidentale: inquinato, sovraffollato e pieno di costruzioni bruttissime. Però nel periodo Edo si era sviluppato un modo di guardare il mondo che ancora ammiriamo oggi, e che è secondo me ben rappresentato dalla poesia giapponese: un prodigio di luminosità, di percezione dei dettagli, di amore per le piccole e delicate cose del mondo càduco. Ma non è solo la poesia: pensate al Judo secondo il maestro Kano. E’ un modo di vivere: una filosofia, una maniera di acquisire saggezza. Il Judo è un’idea moderna, ovviamente, ma ha le sue origini nel periodo Edo. Per quello che posso capire, l’approccio giapponese di quell’epoca era quanto di più lontano può esserci dall’atteggiamento orrendo che abbiamo noi oggi, quello del golem chiamato homo economicus che pensa seriamente che un albero non abbia valore a meno che non sia abbattuto. Se è questo il modo con cui guardiamo il mondo, allora meritiamo di collassare e scomparire. La saggezza probabilmente non è una risorsa non rinnovabile, ma sembra che siamo comunque riusciti a restarne senza.

Vorrei raccontarvi una storia proveniente dalla saggezza giapponese; ha a che fare con l’epoca delle guerre civili ma fu sicuramente inventata durante il più tranquillo periodo Edo. Probabilmente conoscete i nomi dei principali condottieri dell’ultima fase delle guerre civili in Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Alla fine, fu Ieyasu a diventare shogun e guida dell’intero paese. Sul come ci riuscì, c’è questa storiella che esiste in forma di senryu, una poesia breve. Racconta che un giorno Nobunaga, Hideyoshi e Ieyasu si incontrarono e videro un cuculo che non cantava. Nobunaga disse: “Se non canta, lo uccido”. Hideyoshi disse: “No, io lo convincerò a cantare”. E Ieyasu disse: “Io aspetterò, finché non canterà”.

Penso che questo racconto sia un’ottima rappresentazione di come la gente del periodo Edo razionalizzava gli eventi che portarono alla loro età. Ci dice che la strategia vincente non è la violenza, e nemmeno la furbizia: bensì è l’adattamento. I giapponesi avevano capito che non potevano forzare o persuadere la loro isola a comportarsi come essi desideravano, proprio come non si può forzare o convincere un cuculo a cantare. Dovevano adattarsi, e lo fecero. Questa, io credo, è saggezza.

Ora, una caratteristica della saggezza è che si può applicare a diverse situazioni, diversi luoghi, diversi tempi. Vediamo un po’ come possiamo interpretare il racconto nella nostra epoca. Abbiamo enormi problemi ovviamente: non abbiamo abbastanza petrolio, non abbiamo abbastanza risorse minerali, né abbastanza acqua, né atmosfera per assorbire i residui della combustione. Come reagiamo allora? Be’, un po’ come Nobunaga. Siamo propensi a usare la violenza, non solo in termini di “guerre per il petrolio”. Cerchiamo di forzare il pianeta a produrre quel che desideriamo. In un certo senso, è come dire all’uccello “canta, o ti ammazzo”. Insomma, è il “drill, baby drill!”, è la volontà di fare di tutto e con qualunque mezzo per produrre i combustibili liquidi di cui siamo convinti di avere assoluto bisogno, anche se così distruggeremo la terra e l’atmosfera. Vogliamo costruire centrali atomiche, incuranti dei rischi connessi, e fare un mucchio di altre cose per forzare il pianeta a produrre ciò di cui crediamo avere la necessità.

Poi c’è un diverso atteggiamento in apparenza più civile: è l’efficienza. Esso dice che, se riusciamo a convincere la gente ad usare le risorse in maniera più efficiente, possiamo continuare ad avere tutto quello cui siamo abituati ed in più salvare il pianeta. Le lampade a risparmio energetico e le auto di dimensioni più piccole di certo appaiono molto meglio, come idea, del “drill, baby, drill”; ma in fondo il concetto non è tanto diverso, nel senso che non vogliamo cambiare rispetto a ciò che pensiamo sia per noi indispensabile. Il modello di vita americano resta apparentemente non negoziabile: solo il modo di ottenerlo potrebbe forse esserlo. Questa strategia potrebbe addirittura funzionare – almeno per un po’. Ma riusciremo davvero a trovare delle soluzioni tecnologiche per avere, tutti, tutto quello cui siamo abituati? Il recente disastro di Fukushima dovrebbe averci insegnato che non siamo così furbi come possiamo pensare.

Non siamo ancora giunti al punto in cui scopriremo che la strategia vincente non è forzare né persuadere la Terra a dare più di quanto possa. La strategia vincente consiste nell’adattamento. Abbiamo la necessità di ritarare i nostri bisogni in base a quanto il pianeta può offrire. E’ quello che i giapponesi fecero sulla loro isola; e in fondo tutti noi viviamo su un’isola, un’isola gigante, sferica e blu che vaga nell’oscurità dello spazio. Sta a noi gestire i doni che riceviamo dalla Terra e creare qualcosa di bello come la civiltà Edo in Giappone; certamente con metodi migliori e più dolci per il controllo della popolazione.

Se l’esempio storico del Giappone conta qualcosa, forse siamo nella giusta direzione, e l’età delle guerre civili planetarie potrà finire prima o poi. Allora, se riusciamo ad aspettare abbastanza, un giorno anche noi potremo sentire il cuculo cantare. >>



Fonte: Cassandra

mercoledì 27 ottobre 2010

Gestire il collasso della società

C'è un legame fra la decadenza dell'impero romano, iniziata nel III secolo dopo cristo e conclusasi nel collasso che ha dato origine al Medioevo, e la crisi profonda che sta attraversando la nostra iper-complessa società basata sull'insostenibile sfruttamento dei combustibili fossili ?

Certo che c'è!  Ci sono evidenze convincenti di come il parallelismo fra l'epoca romana e l'epoca contemporanea regga in pieno, ad esempio la stessa incapacità delle società complesse di gestire il cambiamento in modo consapevole e graduale. 

Ma la realtà vince sempre per definizione, e per quanto si possa perseverare nel mantenere il "business as usual" ci si rende conto, ahimè sempre troppo tardi, che non solo il cambiamento è inevitabile, ma anche che se non governato correttamente tende a trasformarsi in "collasso", come reazione automatica al nostro tentativo di mitigarne gli effetti aumentando la "complessità dei sistemi". In questo modo, la soluzione alla crisi diventa costruire le centrali nucleari e i ponti sugli stretti, non certo tentare di rifondare l'economia basandosi sui principi della sostenibilità. 

Chi utilizza burocrazia e spinge verso la crescita della complessità dei sistemi, crede d,i mettere in campo una soluzione, invece peggiora solo il proprio male. Queste cose le si scriveva già negli anni 70 quando fu presentato il fondamentale libro "I Limiti dello Sviluppo" del Club di Roma.

Se volete approfondire questo argomento, che personalmente giudico l'unica cosa di cui oggi dovrebbe occuparsi la politica, posso segnalarvi questo ottimo articolo, la cui lettura sono convinto vi ispirerà parecchie considerazioni utili e interessanti per capire meglio tutte le contraddizioni dell'epoca in cui viviamo, e relative conseguenze.

giovedì 14 ottobre 2010

Un indice verde per i nostri prodotti sostenibili ?

L'idea che viviamo in un mondo proiettato inesorabilmente verso la insostenibilità ambientale è un fatto pressoché assodato e pure accettato dai media.

In linea con questa idea è stato il recente intervento al forum internazionale di Cuneo di Friedrich Hinterberger, fondatore e presidente del Seri di Vienna, il Sustainable Europe Research Institute, che ha lo scopo di analizzare il consumo delle risorse naturali:

Ogni abitante del Nord America ne consuma 90 chili al giorno,un europeo in media 45, un africano 10. E la cosa che crea più ingiustizia sociale è che laddove si estraggono le materie prime spesso non si consumano. Ma il modello occidentale non può essere trasferito ai dieci miliardi di persone che saremo tra pochi decenni: in questo quadro di squilibrio e ingiustizia sociale dobbiamo scegliere se andare verso un modello sostenibile o insostenibile.

Per mantenere un modello di sviluppo sostenibile, ogni abitante del mondo dovrebbe però consumare 15 chili al giorno di risorse. Il primo imperativo è quindi consumare di meno. Ma come? Secondo lo studioso è necessario un sistema di etichettamento “verde”: sulle etichette dei prodotti che acquistiamo dovrebbero essere aggiunte le informazioni sulla sostenibilità del prodotto, cioè sull’impronta di carbonio che ogni prodotto lascia.
Non possiamo controllare quello che non possiamo misurare. Abbiamo bisogno di target quantitativi che ci indichino con precisione come usare meno risorse.

Consumare di meno può essere una scelta oppure una necessità, per il maggiore costo delle materie prime e per il guadagno minore di ognuno. Ed ecco allora il secondo imperativo: lavorare tutti di meno.

Secondo lo studioso, bisognerebbe lavorare tutti con un orario part-time e comunque non più di trenta ore a settimana. Scelta che fa guadagnare di meno ma che fa lasciare una minore impronta di carbonio e che fa vivere meglio perché dà una maggiore qualità della vita. 

Mentre sono d'accordo in linea di principio con l'idea che dovremmo tutti lavorare di meno (aggiungerei anche lavorare meglio e per cose più utili), rimango invece molto scettico sull'approccio degli indicatori verdi. Qualsiasi indice “verde” sarà inevitabilmente incompleto e soggetto a grossolani errori, così come lo sono tanti altri famosi indicatori sintetici, incluso il famigerato PIL.

Non solo dovrebbe essere chiaro e trasparente il modo in cui questi indicatori si calcolano, ma bisogna anche verificare se questo calcolo abbia un “senso”.

Cosa dovrebbe indicare in termini di sostenibilità ? Possibile che oggi un pensiero un po sempliciotto tenda a far passare per sostenibile solo ciò che produce poca CO2 ??

Ci vorrebbe come minimo il consumo di energia primaria, di acqua, di risorse minerali fossili non rinnovabili (le cose non sono fatte di solo petrolio o carbone), poi andrebbero considerate altre variabili come l’efficienza, la durabilità, la capacità di produrre rifiuti, la scarsa propensione alla riparabilità, la semplicità di utilizzo, la fruibilità, la capacità di soddisfare un bisogno.

Insomma, possiamo inventarci tutti gli indici che vogliamo per i nostri prodotti, saranno sempre incompleti e al massimo si presteranno per una indagine comparativa.

Il percorso alla sostenibilità può essere soltanto culturale, altrimenti rischiamo di infondere l’illusione che esistano prodotti sostitutivi, altrettanto validi, che abbiano come scopo quello di mantenere il nostro status di consumatori, senza mettere mai realmente in crisi il paradigma (quello si insostenibile) su cui è fondata la nostra vita di appartenenti al mondo civilizzato: Vali perché consumi!

martedì 17 agosto 2010

Guerra alle bacchette cinesi

Prendiamo una cosa di per se innocua come due piccoli bastoncini di legno, moltiplichiamola per un miliardo e quattrocento milioni di volte, e il tutto comincia ad apparire insostenibile. E' quanto GreenPeace sta denunciando in Cina, dove tradizionalmente i pasti vengono consumati utilizzando quelle temibili e (per noi) ingovernabili bacchette di legno, spesso in pioppo o betulla, più raramente in bamboo.

Sono in fondo prodotti usa e getta compostabili, ma sembra che in Cina, l'utilizzo in massa delle cosiddette bacchette, provochi problemi ambientali non trascurabili con numeri davvero da capogiro, basti pensare che ogni anno vengono disboscati l'equivalente di 100 acri di bosco (tutti in bacchette), pari a 100 campi da football americano, con un numero di alberi abbattuti che va dai 16 ai 25 milioni di esemplari.

La deforestazione è quindi uno dei problemi principali che la Cina sta affrontando (non solo certamente a colpa delle bacchette). Riguardo poi all'inquinamento atmosferico, problema davvero insostenibile, la Cina non é certo aiutata dall'apertura di una nuova centrale elettrica (a legna o carbone) ogni settimana, avrebbero bisogno quindi come non mai di salvaguardare i loro "polmoni verdi".

Il ministro del commercio cinese ha pertanto invitato le industrie a rendere le bacchette riutilizzabili, incentivando la filiera del riciclo in loco, e diminuendo drasticamente il consumo di combustibili fossili per il loro trasporto. In un mondo così sovraffollato anche il risparmio di una singola bacchetta di legno può fare la differenza.

Fonte: ecoblog

lunedì 26 ottobre 2009

La sostenibilità ambientale in parole semplici

Vorrei riportare l'esemplare discorso che Ugo Bardi di Aspo Italia ha tenuto in occasione del terzo convegno nazionale di Aspo tenutosi a Lucca il 24 ottobre 2009, dal titolo "La sostenibilità nel vivere, abitare, produrre e consumare". L'articolo è una dimostrazione di come con parole semplici si possono affrontare discorsi apparentemente complessi.

La sostenibilità poggia su tre gambe

Buongiorno a tutti, cercherò di essere molto breve per lasciare spazio ai nostri ospiti che vengono da Bruxelles; per cui mi limiterò a qualche considerazione generale su come la sostenibilità è correlata alle risorse naturali; in particolare alle risorse minerali, ma non solo.

Oggi rappresento qui l'associazione "ASPO", associazione per lo studio del picco del petrolio. E' un'associazione di ricercatori e scienzati che ha cominciato studiando più che altro l'esaurimento del petrolio e degli altri combustibili fossili, gas naturale e carbone; principalmente. Col tempo, ci siamo accorti che le stesse tendenze e gli stessi modelli sono validi per tutte le risorse naturali, sia rinnovabili che non rinnovabili. E ci siamo accorti che ovunque c'è un problema di esaurimento.

Attenzione, non c'è da cadere nella solita sciocchezza di andare a dire "finisce il petrolio", oppure finisce questa o quella risorsa. No; le risorse non stanno per finire; quasi tutte le risorse non rinnovabili che sfruttiamo per l'economia sono ancora - relativamente - abbondanti. Ma via via che le consumiamo, diventa sempre più caro estrarle. Questo è il problema che chiamiamo esaurimento e che ci porta a non poter più mantenere lo stesso flusso di risorse nell'economia che ci ha permesso di fare quello che abbiamo fatto fino ad oggi, ovvero crescere. Un andamento del genere è valido anche per le risorse rinnovabili. Queste non si "esauriscono", propriamente parlando. Ma se le sfruttiamo più in fretta di quanto non si possano rinnovare; allora in pratica si esauriscono anche quelle.

Allora - esiste un problema di esaurimento delle risorse naturali. Curiosamente, qui siamo di fronte - spesso - a una certa riluttanza a parlarne. Sembra quasi che la parola "esaurimento" sia una parolaccia. E non si capisce perché. Una cosa del tutto ovvia è che se consumi piano piano una cosa di cui c'è una quantità finita, prima o poi la esaurisci. Si può discutere sulle date; si può discutere di tante cose; ma non c'è dubbio che quello che non si rinnova si esaurisce.

Se permettete, dunque, io vorrei dire che l'esaurimento delle risorse naturali è un punto essenziali. Io vorrei paragonare la sostenibilità a uno sgabello a tre gambe: due di queste gambe sono quelle di cui abbiamo parlato oggi estesamente.

Una delle tre gambe è la questione climatica. Cosa importantissima, forse la più importante dato che è la cosa che ci può fare più danni di tutti.

Un'altra gamba è quella del risparmio e della qualità della vita. Vivere in modo sostenibile ti fa risparmiare e vivere anche bene. Non è detto affatto che per vivere bene ci voglia per forza un SUV o cose del genere.

Con queste due gambe, molti di noi riescono a far stare lo sgabello in piedi e a giustificare il concetto di sostenibilità. Ma, per molti - quella cosa che chiamiamo "opinione pubblica" - non basta. Per molti, il clima rimane ancora una cosa lontana da capire; poco rilevante per la vita di tutti i giorni. Questo deve cambiare presto e ce ne accorgeremo nei prossimi anni che non si può ignorare la questione climatica, ma per ora c'è ancora tanta gente scettica o poco informata. E per quanto riguarda la qualità della vita, per molta gente si tratta di sciocchezze per ambientalisti e tipi strani.

Così, io credo che sia essenziale cominciare a parlare da subito di sostenibilità in termini di risorse naturali. Questo è il punto veramente essenziale. Se non gestiamo le risorse in modo da preservare la loro capacità di rinnovarsi, allora prima o poi saremo nei guai e - sotto molti aspetti - ci siamo già. Allora, per preservare risorse rinnovabili come i prodotti agricoli bisogna stare attenti, fra le tante cose, a sovrasfruttare il soulo, non cementificarlo. Anche di suolo, ne abbiamo una quantità limitata e una volta che l'abbiamo rovinato ci vogliono centinaia di anni, anche migliaia, per riformarlo.

Per quanto riguarda le risorse non rinnovabili, lì non è questione di sovrasfruttamento. La sola possibilità di sfruttare risorse minerali in modo sostenibile è di riciclarle. E questo del riciclaggio non è un capriccio per ambientalisti - è una cosa essenziale. La buona gestione di quello che chiamiamo "rifiuti" è un elemento assolutamente fondamentale per la sostenibilità. Non ce ne siamo ancora accorti, ma pensateci solo un attimo. Quello che facciamo oggi è scavare per estrarre le risorse minerali, le purifichiamo, le mettiamo sul mercato, le vendiamo alle ditte che le usano per fare dei manufatti. Poi, questi manufatti li buttiamo via e finiscono dentro un inceneritore che li trasforma in cenere fine (che è anche pericolosa per la salute) dalla quale poi non possiamo più recuperare niente. Vi sembra una cosa intelligente da fare? Eppure, si sostiene che è così che dobbiamo gestire i nostri rifiuti.

Quindi, dobbiamo lavorare sul far passare questi concetti fra chi ha il potere di prendere delle decisioni. La sostenibilità è un concetto al momento piuttosto "di sinistra", ma ci sono là fuori anche delle teste pensanti che si rifanno ad altre aree politiche e con le quali si può discutere. Certo, non con tutti. Ci sono persone - sia a destra che a sinistra- che vedono complotti dappertutto e soltanto complotti. A questi, se gli parlate di esaurimento del petrolio vi diranno che è un complotto per farci pagare più cara la benzina. Appunto, ci sono delle teste fatte in un certo modo che sono impervie a ogni discorso razionale. Però, come vi dicevo, ce ne sono anche di persone con le quali si può ragionare.

Concludo qui; come dicevo abbiamo questo compito di far passare all'attenzione del pubblico e dei decisori questo fatto che l'esaurimento delle risorse naturali è un problema reale e immediato. Questo è un compito che abbiamo tutti; voi che siete in platea a sentire avete questi concetti già in testa in vari stadi di approfondimento. Ma, in ogni caso, se siete qui a sentire oggi e non siete invece a guardare la televisione, vuol dire che avete pensato delle cose e che avete tutti delle cose da dire. In altre parole siete tutti degli "opinion leader", persone che possono influenzare il comportamento della società con il loro esempio e con la loro competenza specifica. Quindi, cominciamo tutti a lavorarci sopra. E grazie per l'attenzione.

Ugo Bardi, Lucca 24 ottobre 2009

Fonte:
Risorse, Economia, Ambiente

sabato 3 ottobre 2009

Prima la Terra, 3/4 ottobre a Forlì


Evento da non perdere nel week-end del 3/4 Ottobre in centro storico a Forlì al chiostro di San Mercuriale. Verrà organizzata una due giorni dedicata all’Agricoltura e alla salvaguardia del territorio. Si parlerà ovviamente di agricoltura e di tutto ciò che possiamo fare per renderla sostenibile e adatta ad affrontare le sfide del secolo prossimo venturo.

Organizzato dalle Associazioni WWF forli, Clan-Destino, Artincanti, DestinAzione Forlì, con l’aiuto di Sapori Tipici e Macro-Edizioni, ci saranno giochi per bambini, Tavole rotonde e Musica. Inoltre, mostra-libro con centinaia di testi in vendita dedicati alla sensibilità ambientale.

Tra i relatori (fai click sul volantino per ingrandire) sono stati invitati a parlare anche esponenti del gruppo Gas InGASati di Forlì. Il MIZ sarà ovviamente presente con un suo banchetto.

Il dibattito del giorno di Sabato si intitola: “Naturale e locale, progettare una nuova agricoltura amica dell’uomo e dell’ambiente” – sabato 3/10 ore 16.30, interverranno:

Maurizio Pallante, scrittore e presidente del Movimento per la Decrescita Felice, modererà il dibattito e relazionerà sul tema: “L’agricoltura nell’era della decrescita felice” (quale e quanto cibo per le generazioni future, mentre il petrolio finisce);

Stefano Tellarini, agronomo e tecnico specializzato in agricoltura biologica farà il punto sulla necessità di salvare le antiche ‘cultivar’, restituendo ad ogni territorio le colture più appropriate, e promuovendo l’agro-biodiversità come assicurazione per il futuro alimentare;

Pietro Venezia, medico veterinario omeopata, esperto in zootecnia biologica, discuterà gli esempi locali di filiera corta, evidenziando le difficoltà, i successi e le previsioni future.

Gian Luca Bagnara, Assessore Provinciale all'Agricoltura, verrà adeguatamente incalzato e avrà l’opportunità di spiegare al pubblico quali sono le politiche proposte dalla Provincia FC per un’agricoltura capace di futuro, che sappia recepire le indicazioni dell’Unione Europea in merito a tutela della biodiversità e sappia restituire dignità al lavoro agricolo.

Il dibattito del giorno di Domenica si intitola: “Dal cemento non nascono i fiori - salvare e ri-naturalizzare il paesaggio rurale” – sabato 3/10 ore 16.30, interverranno:

Massimo Milandri (dottore in Scienze Forestali e membro della Società Studi Naturalistici della Romagna), per presentare una riflessione complessiva sulla trasformazione e riduzione delle campagne forlivesi nel corso degli ultimi decenni;

Enrico Ottolini (biologo e membro del WWF Parma) per illustrare il tema: “Come tutelare e ricostruire le relazioni ecologiche nelle aree agricole”, nonché la recente proposta, avanzata dal WWF, per riportare un sufficiente grado di naturalità nei territori di pianura e pedecollina dell’Emilia Romagna e il trailer anteprima di un interessante documentario di imminente uscita sulla perdita dei suoli agricoli nella Provincia di Parma.

Raffaella Pirini, Consigliere Comunale della Lista Civica DestinAzione Forlì, coordinerà il dibattito e avrà il compito di coinvolgere gli Assessori forlivesi Paolo Rava (Urbanistica) e Alberto Bellini (Ambiente) in una discussione costruttiva, con l’obiettivo di arrivare ad una visione comune di un futuro fatto di politiche di tutela dei suoli agricoli dall’invasione del cemento-asfalto e di riconversione ecologica delle pratiche agricole.

Le giornate termineranno con due concerti “a km0”, ovvero di gruppi provenienti dal territorio forlivese:

- I Marcabru (sabato 3, ore 21.30): musicisti di lunga esperienza che nel tempo hanno sviluppato una personale ricerca sulla musica popolare, soprattutto di matrice celtica, e sulla musica antica (medievale e rinascimentale); arrangiano melodie tradizionali senza confini geografici o culturali con uno stile contemporaneo e sperimentale.

- I Colobraro (domenica 4, ore 21.30): giovani musicisti che, servendosi di chitarra, flauto, violino e tamburello trascineranno il pubblico in una serie di danze popolari del Sud Italia, chiudendo in allegria la manifestazione.

Spero parteciperete numerosi.



Aggiornamento: Purtroppo Maurizio Pallante informa che non potrà partecpare all'evento causa un impegno improvviso, sarà sostituito da un esperto in tematiche agronomiche

martedì 29 settembre 2009

Earth Overshoot Day: la crisi lo ha spostato solo di due giorni

L'Earth Overshoot Day è caduto quest'anno il 25 settembre.

In questa data l'umanità ha esaurito le risorse rinnovabili prodotte nel 2009 e deve attingere al capitale naturale del pianeta.

Nel 1987 l'overshoot day era il 19 dicembre, poi lo sviluppo economico e demografico lo hanno fatto anticipare ogni anno per arrivare lo scorso anno al 23 settembre.

Un anno di crisi economica e di calo della produzione industriale e dei trasporti hanno prodotto un misero "effetto positivo": spostare in avanti l'overshoot day di due giorni.

Due giorni!

Avete presente quale sforzo dovremmo fare per ritornare almeno dalle parti di ottobre o novembre?

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venerdì 12 giugno 2009

Italia rinvia il divieto di vendita delle lampade a incandescenza

Il Governo italiano continua nella sua politica di opposizione a tutte le politiche ambientali che vanno per la maggiore in Europa e in tutto l’occidente. Dopo aver negato l’esistenza dei cambiamenti climatici, l’ineffabile maggioranza di centrodestra ha deciso di creare in Italia l’unica eccezione europea al divieto di vendere lampadine a incandescenza di potenza pari o superiore ai 100 watt.

Dal primo settembre di quest’anno la vendita di queste lampadine sarà vietata in tutta Europa, ma non in Italia. Le lampade inquinanti sono salvate dal disegno di legge 1195, dopo che la finanziaria 2008 le aveva proibite a partire da gennaio 2010. Le associazioni ambientaliste, e in primo luogo il Wwf, protestano, visto che cambiando cinque lampadine da 100W a incandescenza con altrettante a basso consumo, in un anno si risparmiano 175kg di Co2.

Il discorso riguarda anche i frigoriferi, visto che uno di classe AA+, per cui tra l’altro esistono sgravi fiscali, fa spendere meno di 34 euro di elettricità all’anno, mentre quello di classe C fa impennare la bolletta fino a 92 euro. Insomma, una vera e propria inversione di rotta, quella del Governo, che consentirà di continuare a vendere in Italia lampadine e frigoriferi a bassa efficienza energetica.

Fonte: Ecoblog


giovedì 2 aprile 2009

Dove non riesce la ragione riesce la crisi

Ci si è indaffarati tanto ultimamente, specialmente nel mondo ambientalista, per informare le persone di come sia assurdo vivere in un mondo fatto di sprechi e di bisogni superflui. Tante realtà di volontariato sul territorio hanno cercato di proporre modelli basati sulla sobrietà, rispetto della natura, buone pratiche e soprattutto sani stili di vita.

Tutto pressoché inutile! La relativa abbondanza di risorse di cui abbiamo goduto negli anni passati ci ha fatto perdere completamente di vista il concetto fondamentale di sostenibilità.

Dove non sono arrivate le prediche della ragione è riuscita però lo spauracchio della crisi, a quanto sembra dall'indagine di Repubblica dal nome "Racconta la crisi". Il quotidiano ha raccolto le opinioni dei tanti lettori ai quali è stato chiesto con quali cambiamenti pratici si stanno adattando a un mondo in cui le risorse sembrano essere in continua diminuzione. Le risposte sono state illuminanti.

- Tagliare il telefono fisso. Qualcuno racconta di aver optato per Internet via satellite, per risparmiare 150 euro di tasse a Telecom.

- Bere l'acqua del rubinetto. Ci siamo tanto sgolati per promuovere l'acqua der sindaco per motivi ambientali, ed ecco che i nostri concittadini scoprono che l'acqua in bottiglia è un costo inutile e basta.

- Pane, dolci, pizza fatti in casa. Triste rinunciare alla pizzeria, ma bello fare in casa il pane caldo e genuino. E lo fanno quasi tutti.

- Cena dagli amici. Tanti, tantissimi raccontano di aver rinunciato al ristorante ma di aver inaugurato un bel giro di cene a casa degli amici.

- Bicicletta. Molti raccontano una riscoperta della bici per i piccoli spostamenti, e ne sono inaspettatamente entusiasti.

- GAS. C'è chi si è iscritto ai Gruppi di Acquisto Solidale e racconta di risparmiare tantissimo e mangiare molto meglio.

- Orti. Alcuni confessano di aver inaugurato il primo orticello della loro vita, e attendono l'estate per raccogliere i frutti.

- Libri e cultura. Tantissimi hanno riscoperto le biblioteche comunali e ne sono contenti. Altri approfittano delle iniziative cittadine per teatri o spettacoli gratuiti o a prezzi popolari.

- Alimentazione. A fronte di tanta gente che ahinoi fa spesa al discount, molti portano da casa il pranzo in ufficio, con sicuro vantaggio per la salute. Altri lamentano di dover diminuire il consumo di carne... cosa che però fa bene a noi e al pianeta. Meno alcolici e bevande varie.

- Internet. Sembra che nessuno ci rinunci, e che sia una fonte di risparmio. Si usa per confrontare i prezzi, per informarsi dopo aver tagliato la spesa del giornale o l'abbonamento a Sky, si usa per scaricare libri e musica, e persino per far giocare i bambini coi videogiochi gratuiti.

- Abbigliamento. Molti ricorrono purtroppo alle bancarelle cinesi, ma altrettanti hanno riscoperto il gusto dello scambio tra amici e parenti e il riadattamento di capi di buona qualità.

- Centri commerciali. Tanti, tantissimi dichiarano di non andarci più. Meglio una passeggiata in campagna, dice qualcuno, e nell'insieme c'è la sensazione che agli shopping center gli italiani stiano di buon grado dicendo addio per sempre.

- Vacanze e weekend. I picnic ai bimbi piacciono! racconta una mamma. E poi, vacanze a casa dei nonni, a casa di amici, gite fuori porta.

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mercoledì 11 febbraio 2009

Strappiamoli tutti, questi alberi maledetti!

Questo è il ritmo miope e insostenibile con cui consumiamo il nostro pianeta. Sono favorevole perché nel nostro ordinamento giuridico entri il reato di stupro contro la natura. Fa venire da vomitare, letteralmente.



Aggiornamento:

Gianfranco Zavalloni, che da qualche mese lavora in Brasile a Belo Horizonte come responsabile dell'ufficio scuola del consolato Italiano, ci invia queste foto molto recenti da lui scattate, dove si mostra la distruzione causata dalla coltivazione intensiva dell'eucalipto.

giovedì 22 gennaio 2009

Change we can or change we must ?

Voglio rilanciare un consiglio al nuovo presidente americano in tema di Energia (ammesso che ne abbia bisogno) condividendo la ricetta espressa dall'associazione internazionale "The Oil Drum":
  • E' l'energia e non il denaro che muove l'economia. Se i miliardari americani decidessero ad esempio di regalare una vagonata di miliardi di dollari al governo americano, ne ripagherebbero il debito, ma non altererebbero di una virgola la disponibilità di fonti energetiche fossili. Pagare l'energia per muovere le fabbriche non significa crearla.
  • L'energia non è tutta uguale. Quella a buon mercato l'abbiamo ormai alle spalle, per recuperarla da fonti non convenzionali come le sabbie bituminose oppure minerali di uranio a bassissima concentrazione serve tanta energia quanta quasi quella che se ne ricava, rendendo il processo assai poco redditizio dal punto di vista termodinamico.
  • Investire in turbine eoliche e solare piuttosto che in nuove prospezioni petrolifere, affinchè il ritorno dell'investimento sia continuo negli anni e non solamente limitato temporalmente allo sfruttamento di piccoli giacimenti residuali, che poco possono fare in termini di sostenibilità globale dei nostri consumi.
  • I prezzi più alti per l'energia sono una buona cosa, a patto che i profitti vengano reinvestititi in nuovi sistemi di energia (meglio se rinnovabile) e non vadano ad ingrassare i dirigenti delle multinazionali.
  • Il pubblico deve essere educato a prezzi energetici più elevati. L'alternativa è tra pagare di più l'energia o averne meno a disposizione.
  • Anche se è una misura altamente impopolare, Obama dovrà introdurre una tassa sulla benzina, per arrivare gradualmente ai livelli europei, senza peraltro ridurre le altre tasse. Questo ridurrà i viaggi superflui e stimolerà l'ingegneria americana all'efficienza nei trasporti.
Questi consigli valgono ovviamente a maggior ragione anche per l'Italia, affinché si passi dal motto "Change We Can" al nuovo "Change We Must", ed ipotecare così la speranza di un futuro almeno decente per le prossime generazioni.

Intanto, in Arabia Saudita si tiene un summit mondiale per discutere sul futuro delle energie rinnovabili, il world future energy summit.

martedì 7 ottobre 2008

Esiste davvero lo sviluppo sostenibile ?

Ricercando con Google il termine "sviluppo sostenibile" si trovano quasi tre milioni di occorrenze in italiano e quasi 40 milioni in inglese. E' quindi un concetto che oggi "va per la maggiore": tutti ne parlano, tutti ne scrivono, sugli scaffali dei supermercati è persino arrivato qualche mese fa un "caffè sviluppo sostenibile"!

Ma che cos'è esattamente ?

La definizione "ufficiale", che compare anche nella home page della Divisione dell'ONU per lo sviluppo sostenibile, è la seguente:

«Sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro propri bisogni.»

Questa definizione proviene dal Rapporto Brundtland, del 1987 (par. 27, pag. 24).

Questa definizione è importante perché introduce nel dibattito politico-economico i diritti delle generazioni future, cioè di coloro che non sono ancora nati e che nasceranno tra 10, 50, 100, 1000 anni. E' essenzialmente l'idea del principio di responsabilità, termine coniato dal filosofo Hans Jonas con il libro omonimo del 1979. Il pensiero di Jonas è articolato e complesso e non può certo essere ridotto in poche battute; possiamo però citare due affermazioni forti che spiegano in cosa consiste il principio di responsabilità (segui questo link per approfondire)

  • In avvenire deve esistere un mondo adatto ad essere abitato; bisogna disporsi a farsi coinvolgere da una felicità o da una disgrazia che riguarda solamente le generazioni future.
  • Nuovo imperativo etico: agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra.

Ragionare in questi termini comporta una vera rivoluzione nel modo di considerare l'orizzonte temporale del nostro futuro; andate a dirlo agli amministratori delegati che hanno in mente solo il prossimo bilancio trimestrale o ai politici che pensano alle prossime elezioni ...

Questa definizione è però anche ampiamente insufficiente, dal momento che "i bisogni del presente" sono considerati in astratto e non vengono invece collegati alle risorse effettive dell'ambiente naturale.

Se vogliamo "avanzare qualcosa" per le generazioni future, l'attenzione non deve tanto essere incentrata sui bisogni, ma sulle risorse e su come farne uso senza distruggerle o comprometterne un uso futuro.

Tratto da un articolo di Marco Pagani su EcoAlfabeta

domenica 28 settembre 2008

Come riciclare gli oggetti impossibili

Si stanno facendo progressi nel campo del riciclaggio degli oggetti e dei materiali più comuni, ma cosa succede ai prodotti che non rientrano nei normali piani della raccolta differenziata? Se da un lato i programmi di raccolta porta a porta aiutano a semplificare e unificare la separazione dei rifiuti dall'altro molti oggetti resteranno necessariamente fuori dai cassonetti della differenziata. In Inghilterra esistono iniziative interessantissime che varrebbe la pena di applicare anche nella nostra vituperata Italia capitale della "monnezza". Citiamo alcuni esempi.

Per smaltire un mazzo di chiavi che non servono più le si può buttare in un cassonetto dei rifiuti metallici misti oppure spedirle a keys for kindness, una associazione inglese che ricicla chiavi e manda il ricavato ad enti di beneficenza.

Si prevede che tra non molto il numero delle sveglie elettriche abbandonate nei rifiuti crescerà in modo allarmante (oramai tutte sostituite dai telefonini con la funzione di sveglia) e diverranno ufficialmente RAEE "rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche", cioè rifiuti elettronici che vanno consegnati a strutture apposite di raccolta e smaltimento dove ci si occupa di smontarle in condizioni di sicurezza. Oppure si può affidarle a Wombling, una società che ritira piccole apparecchiature elettroniche per rimetterle a nuovo e rivenderle oppure smontarle per riciclarne i più minuscoli componenti.

Una delle domande più frequenti riguarda lo smaltimento delle videocassette. Sono un problema perché la cassetta, essendo di plastica, può essere riciclata mentre il nastro invece no. Basterebbero iniziative come quella di keymood, che ricicla completamente i nastri delle cassette, ma richiede un modesto contributo per le spese di smaltimento in discarica: quindici sterline (meno di venti euro) per 50 videocassette, venti sterline fino a 140 pezzi. Il riciclaggio di dvd e cd e gratuito.

Con l'arrivo dell'estate tante donne si accorgono di avere cassetti straripanti di collant smagliati. E' inutile sperare di recuperarli: riparare come si deve una calzamaglia che non sia di pura lana è pressochè impossibile. Tights-please raccoglie collant vecchi o smagliati e lì invia in Etiopia ad Addis Abeba (fistola hospital) che accoglie le donne colpite da fistola post parto, facendone certo un uso migliore di una discarica. Si possono inviare collant a: Ethiopia Tights Appeal, Tightsplease, 2nd Floor Albion Court, 18-20 Frederick Street, Hockley, Birmingham B1 3HE Gran Bretagna.

Gli armadi di tante famiglie sono notoriamente stracolmi di teli ed asciugamani lisi e logori, lo stesso vale per le lenzuola. Tutti i manufatti tessili dovrebbero essere riutilizzati, per esempio come stracci, finché è possibile farlo. Oggi siamo abituati a trattare il cotone come un prodotto economico e di poco valore eppure basta considerare il suo impatto ambientale e sociale per capire che è vero semmai il contrario. Non è ancora possibile però recuperare e rigenerare completamente le fibre su larga scala. Fortunatamente ci sono società come Lm Barry che ritirano e riciclano ogni tipo di prodotto tessile. Gran parte delle lenzuola e degli asciugamani sono tagliate a brandelli o striscioline e usate per fabbricare strofinacci industriali per pavimenti, donando alla fibra nuova vita. Una fine un po ingloriosa, direte. Ma è pur sempre meglio della discarica dove finiscono a macerare i prodotti tessili che non vengono riciclati, spesso impregnati di sostanze tossiche come coloranti e ritardanti di fiamma.

Insomma, per farla breve, riciclare in maniera industriale molti oggetti complessi della nostra quotidianità è prossimo all'impossibile, ciò non toglie però che nell'ottica di un utilizzo parsimonioso e sobrio delle risorse nonché soprattutto del riuso, possano esistere nicchie economiche per le quali questi "rifiuti" hanno ancora un (seppur modesto) valore.

[Via The Observer]

domenica 14 settembre 2008

Riciclare il 100% si può!

Kamikatsu è un piccolo paese di 2000 abitanti nel sud del Giappone dove non esistono più cassonetti o camion dell’immondizia, perché tutti i rifiuti sono riciclati. E per tutti si intende davvero il 100% delle scorie prodotte dall’uomo! Quì potete trovare un breve video di come operano. Questo è il risultato di una ricerca quasi maniacale collegata al progetto Zero Waste che prevede una raccolta differenziata suddivisa addirittura in 34 sotto-categorie: accendini, tappi di bottiglia, rotolini della carta igienica… Insomma per i cittadini un vero secondo lavoro, come se i nipponici già non lavorassero abbastanza, in cui conta unicamente il raggiungimento dell’obiettivo finale: l’arrivo della spazzatura all’enorme centro di riciclaggio del paese.

La quantità del materiale da riciclare è talmente rilevante da occupare box e giardini privati; le abitazioni praticamente sono ideate secondo la logica della conservazione provvisoria dei propri rifiuti domestici. E da qui la concezione che la spazzatura è qualcosa di nostro, strettamente personale, per la quale responsabilizzarci fino in fondo, escludendo l’ipotesi, peraltro piuttosto comoda, che, una volta consumato, il prodotto non sia più roba di nostro interesse.

Lo scopo finale di Kamikatsu è quello di eliminare del tutto entro il prossimo decennio la presenza delle discariche e degli inceneritori. Quello di Kamikatsu è un esempio di eccellenza nella questione dello smaltimento dei rifiuti. Ma la cosa che ci impressiona di più è la responsabilità e la consapevolezza del singolo cittadino giapponese, che per ora è lontana anni luce dalla nostra realtà italiana.

Vorrei sottolineare come, malgrado si possa in teoria riciclare il 100% ciò che usiamo, la vera priorità sia però ridurre la quantità dei beni consumati, solo così si riduce realmente lo sperpero e lo sfruttamento del pianeta...

Fonte: buonenotizie.it
Photo: courtesy of greenpeace.co.jp

giovedì 14 agosto 2008

La storia delle cose verso la decrescita


Una crescita infinita ed un flusso unidirezionale di risorse, in un mondo finito, è ovviamente una cosa impossibile, eppure è proprio questo il modello che stiamo supinamente accettando come normale se non come unico immaginabile. Un tempo non era così. Domani non sarà ancora più così. Oggi però nessuno ha realmente il coraggio di ribellarsi a tutto questo, aspetteremo quindi che sia il pianeta stesso a fare quanto dovremmo fare noi.. reagire.

Da anni abbiamo affrontato come movimento MIZ il tema dell'informazione in materia dei rifiuti, come antidoto per un sistema miope il cui unico obiettivo è quello di farci consumare e non pensare a niente altro, siamo come anestetizzati da una realtà virtuale da noi stessi generata. Ci siamo mai realmente chiesti che fine fanno le nostre merci dopo il breve utilizzo che ne facciamo ? Oppure quanto lavoro e quante attività nocive per il territorio ci sono a monte del nostro inconsapevole atto di acquisto ?

Allargare la visione che l'uomo comune ha del sistema, può essere un modo per creare cittadini non ridotti a semplici macchine consumatrici. La politica cosiddetta "democratica" asseconda in teoria ciò che la "gente" vuole, ma la gente è consapevole di cosa realmente vuole, bombardata come è da ogni tipo di pubblicità e strumentale propaganda ?

Subordinati alle subdole suggestioni di aziende dai colossali interessi economici (potenti tanto quanto gli stati) il concetto moderno di democrazia non scricchiola affatto ma diventa funzionale alle perversioni del sistema stesso, il trucco sta nel fare desiderare al popolo bue ciò che il sistema vuole per sopravvivere, così come il cervello di un tossico agisce per costringere il corpo a farsi la seconda dose. Si fa pertanto a gara a chi promette più crescita, più soldi, l'economia deve "tirare", altrimenti si rimane indietro (ma indietro rispetto a che cosa?), in un paradossale scambio fra la cura e la malattia stessa. Desideriamo il nostro male spacciandolo come cura, appunto.

Se non la democrazia, qualcosa che scricchiola però lo si avverte chiaramente comunque, come una corda troppo tesa che si sta sfilacciando, con il rischio di rompersi. Ciò che scricchiola si chiama ambiente, da "ambiens", cioè ciò che ci sta attorno, che ci circonda. Oggi siamo noi che circondiamo l'ambiente, pronti a derubarlo appena esso si distrae, forse un giorno così circondato l'ambiente si arrenderà. A quel punto difficilmente un concetto vetusto e ritrito come la democrazia riuscirà a mantenere l'ordine sociale, conseguenze assai traumatiche potrebbero essere all'orizzonte senza che oggi ce ne rendiamo conto.

Stato sociale, pensioni, assistenza sanitaria, saranno forse cose che non ci potremo più permettere, perchè l'unica maniera per mantenerle è utilizzare quantità enormi di energia, petrolio, risorse minerarie, ciò che mantiene in equilibrio il nostro bel mondo è la continua crescita. Cosa succederà quando non si riuscirà a crescere più di così ? La risposta si chiama Decrescita, sono sempre più convinto che non sia un male ma anzi una occasione unica per un nuovo rinascimento culturale e sociale, dove sarà questa volta davvero il benessere a crescere, e non solo l'economia.

venerdì 8 agosto 2008

La spigolatura dei rifiuti


Vorrei segnalare questo interessantissimo e dettagliato articolo scritto da Ugo Bardi di Aspo Italia sulla gestione dei rifiuti

Il documento pone l'accento verso un punto di vista scientifico-sociologico, illustrando in maniera a mio parere ispirata ed esemplare come sarà l'evoluzione futura nella gestione dei rifiuti in un mondo a scarsa densità energetica, spiegando il perchè non ci possiamo permettere fin da ora di lasciarla esclusivamente alle leggi del libero mercato. L'analisi del concetto di "spigolatura" applicata ai rifiuti rappresenta a mio parere un originale contributo di saggezza, come solo il professor Bardi e pochi altri saprebbero infondere.

Tento di esporre un breve riassunto (tagliato con l'accetta) dei concetti esposti.

La presenza di pratiche di gestione sprecone in senso energetico in merito alla raccolta rifiuti odierna (scavare un buco e via, incenerire, buttare), è giustificata oggi dalla possibilità di accedere ad energia a basso costo ed alto "EROEI", pertanto ci sarà sempre per l'economia margine sufficiente per sprecare, il rifiuto non può essere considerato un valore, l'economia stessa rifiuta infatti l'idea di rifiuto considerandolo un disvalore.

Nelle società agricole questo semplicemente non succedeva, la "spigolatura" (pratica del raccogliere e smaltire i residui di una lavorazione nei campi per l'auto-sostentamento) era permessa ed anzi incentivata, in quanto permetteva la vita di persone che sfruttavano "efficientemente" le inefficienze del sistema agricolo, compensando un EROEI molto basso di quest'ultimo. Queste presunte inefficienze, in realtà erano preludio di un concetto di efficienza più alto e nobile, il permettere la sopravvivenza anche a chi non aveva i mezzi necessari per accedere ai vantaggi di una agricoltura di massa.

I nostri ricchi rifiuti vengono oggi spesso spediti al (presunto) terzo mondo, specialmente Africa e Cina, dove intere economie di sussistenza sono possibili in barba al prevedibile degrado ambientale. Ebbene, con l'approssimarsi di un epoca in cui l'EROEI dato dallo scarso e costoso da estrarre petrolio diventerà sempre più basso, fioriranno anche da noi queste pratiche, che ora consideriamo deleterie e marginali, mentre invece se ben organizzate possono diventare il seme per ritornare ad un uso consapevole e sostenibile delle risorse.

Largo spazio quindi a considerazioni puramente energetiche ma diseconomiche sulla gestione dei rifiuti (riciclare costa ma fa risparmiare molta più energia che quella ottenuta bruciandoli). Fra queste pratiche quelle sicuramente più virtuose sono la raccolta domiciliare (porta a porta), il riuso dei manufatti nei mercati dell'usato, l'auto produzione di beni di consumo, riparare anzichè comperare, il recupero dei materiali spinto all'estremo e sostenuto tipicamente da lavoro umano non meccanizzato.

L'articolo è davvero lungo, lo so, ma credo meriti veramente una attenta lettura per arrivare a capire le radici del problema ed intravvedere qualche abbozzo di possibile soluzione. Come riusciremo a gestire i nostri rifiuti la dice lunga su quale razza di mondo ci appresteremo a vivere nel nostro immediato futuro.

P.S. Avete notato che oggi è il giorno 08/08/08 e il post è uscito alle 08:08 ??
Sarà un segno del destino!

sabato 2 agosto 2008

Il mondo del 2055 visto su YouTube



Sembra una americanata, nel 2055 parleremo forse di questi anni come quelli della svolta verso le energie rinnovabili. Peccato che probabilmente non succederà, non almeno nei termini bucolici che questo breve filmato lascia intendere. Gli hamburger rimarranno hamburger e gli americani gli stessi ricconi sfruttatori dell'ecosistema di sempre, ma possiamo pur sempre permetterci di sognare un mondo diverso, fin da ora.

giovedì 24 luglio 2008

I limiti dello sviluppo

Aurelio Peccei, nei lontani anni 60-70, noto per essere stato amministratore delegato dell'Olivetti (prima di de Benedetti), importante manager di Fiat (fondatore di Fiat Argentina), era indiscutibilmente un timoniere d'azienda d'eccezione, di quelli tutti di un pezzo orientati verso il capitalismo più sfrenato. Da personaggi simili ci si aspetterebbe di sentire discorsi come "dobbiamo incrementare i consumi", "la crescita industriale è il benessere del paese", "maggiore produttività significa ricchezza e benessere".

Invece, sulla fine degli anni 60, si ritrova informalmente a Roma con un manipolo di personalità della società civile, cominciando a farsi delle domande, fondando così nel 1968 il nocciolo di quello che sarà denominato Club di Roma. Il frutto di questo fortunato incontro fu la produzione di alcuni documenti, allora assai criticati, i quali sostenevano un fatto che oggi sembra di una semplicità disarmante: non può esistere crescita infinita in un mondo finito. Incompreso e deriso in Italia, a causa di profezie allora considerate avventate se non nefaste, decise di vederci chiaro nella sua intuizione e commissionò finanziariamente al famoso MIT (Massachusetts Institute of Technology) uno studio mirato sull'argomento.

Utilizzando i primi elaboratori elettronici di allora, grazie al contributo di un eccezionale gruppo di scienziati come solo al MIT se ne possono trovare, Dennis e Donella Meadows realizzarono una simulazione al computer utilizzando modelli matematici empirici che tenevano conto di molti fattori, come la crescita della popolazione, il tasso di inquinamento, il livello di industrializzazione, la disponibilità di cibo, l'utilizzo delle risorse, il riciclo dei materiali, etc. Questo modello avrebbe dovuto prevedere i dati storici ed essere abbastanza robusto da consentire "estrapolazioni" per i dati futuri, cosa che si è sostanzialmente verificata dopo oltre 30 e passa anni di ulteriori misurazioni. Il risultato del loro sforzo fu un libro uscito nel 1972, subito best seller in America, chiamato I limiti dello sviluppo (Limit to Growth), di cui è uscito recentemente una edizione aggiornata scritta dello stelsso Meadows 40 anni dopo (oggi signore attempato ma ancora arzillo).

Il libro originale del 1972, rarissimo e quasi introvabile, è stato scansionato ed è disponibile e consultabile in rete gratuitamente, se masticate l'inglese leggetelo perchè nelle sue profetiche previsioni è assolutamente sconcertante. Chiunque si occupa di ecologia in modo pratico, scientifico e non ideologico dovrebbe leggerlo a mio modesto parere.

Cosa predice in soldoni ? Più o meno che siamo già alla frutta e da un pezzo in maniera pressochè irreversibile, veleggiando allegramente verso una crisi disastrosa e repentina.

Riporto due grafici presi dal libro, il primo è un modello "standard" nell'ipotesi che i governi si limitino ad amministrare l'esistente e si continui imperterriti nel modello energivoro industriale attuale (fai click sull'immagine per ingrandire).
La previsione è di un drammatico abbattimento delle risorse naturali attorno al 2010, di un picco di inquinamento insostenibile coincidente con il massimo sviluppo industriale attorno al 2020, ed infine un drastico ridimensionamento della popolazione che avrà un picco nel 2030, falcidiata dalla mancanza di cibo e dalle possibilità di accesso alle cure mediche. Sostanzialmente prevede l'azzeramento della civiltà industriale così come oggi noi la conosciamo fra il 2050 e il 2100, con il pressochè totale esaurimento delle risorse energetiche fossili e minerarie.

Allego un altro grafico sempre proveniente dal libro.
Questo rappresenta il "migliore dei mondi possibili" che possiamo sperare (se il modello si rivelerà realistico) operando drasticamente sui parametri coinvolti , purchè lo si faccia almeno a partire dall'anno 2000 (e siamo già al 2008). Le condizioni al contorno sono imposte per ottenere uno stato di stabilizzazione indefinita, l'unica cosa che possiamo sperare di ottenere, giacché una crescita infinita è ovviamente impossibile. Perchè si realizzi questo equilibrio, che corrisponde ad un reddito pro-capite all'incirca triplo rispetto a quello del 1970, occorrono queste precise condizioni:
  • Fissare a 2 il numero massimo di figli per coppia (nascite=morti)
  • Riciclare oltre il 75% di tutta la materia che consumiamo
  • Ridurre l'inquinamento fino ad 1/3 dei livelli del 1970
  • Allungare di almeno tre volte il ciclo di vita dei prodotti di consumo
  • Economia e industria riconvertita prevalentemente all'agricoltura
  • Utilizzo esclusivo di fonti rinnovabili di energia ed abbandono delle fonti fossili
  • Rateo di investimento del capitale uguale al deprezzamento dei beni (%PIL=zero!!!)
  • Recupero dei terreni cementificati e marginali alla produzione agricola
  • Mantenimento delle foreste e delle aree di biodiversità
Questo non impedisce il progressivo esaurimento delle risorse, ma sarà così lento che forse avremo il tempo, nel 2100, di trovare qualche tipo di progresso tecnologico in grado di rigenerarle o di riutilizzarle in maniera più intelligente. Converrete con me che attualmente da questi obiettivi siamo alquanto lontanucci!

La cosa sconcertante è che le simulazioni al calcolatore indicano che, se solo uno di questi obiettivi non sarà ottenuto, il sistema diverrà instabile e destinato al collasso ben prima del 2100! Significa che il sistema economico darà una "smusata" così dura da far impallidire la crisi del 29, nonchè la popolazione mondiale subirà uno spaventoso tracollo per assestarsi autonomamente ad un livello compatibile con le risorse che la terra metterà loro a disposizione. Non ci sarà mai industria o tecnologia miracolosa che potrà aiutarci, giacchè anche se ci fosse i fattori limitanti sarebbero multipli e tutti equamente instabili e tali da causare un crollo irreversibile dell'economia come la intendiamo oggi. Insomma, se desideriamo vivere come ora, con i consumi e redditi attuali (ed in europa siamo esattamente nella media per una stabilizzazione, al contrario che in US dove un ridimensionamento è inevitabile), dovremo fare sacrifici immani, altro che ccostruire entrali nucleari o coltivare biocarburanti.

E' un po che ci sto pensando, forse mi conviene fin da ora prepararmi per tempo ed imparare a gestire un orto in casa.