mercoledì 28 gennaio 2009

Facciamo il punto sugli inceneritori e la raccolta differenziata

Vorrei fare il punto del perché gli inceneritori sono una scelta che non è adatta per una corretta gestione industriale del rifiuto, a prescindere dal territorio in cui sono utilizzati. Non è una questione di orticello privato o di sindrome Nimby, è qualcosa di più organico e complesso da valutare nei suoi molteplici aspetti.

Considerazioni energetiche

Gli inceneritori si autosostengono energenticamente, poiché il potere calorifico dei rifiuti (CDR), se almeno superiore a 2000Kcal/Kg, come è il caso dei rifiuti urbani tal quali con essiccamento e modesta preselezione, è sufficiente per alimentarlo. Ciò non significa che non abbiano consumi energetici, il consumo di combustibile fossile immesso dall'esterno comunque esiste ed è limitato alle fasi di avvio e spegnimento, occorre infatti fornire una modesta quantità di gasolio o metano per portare a temperatura di esercizio gli impianti prima della immissione del rifiuto. Se non fossero preriscaldati e spenti con un combustibile convenzionale, potrebbero funzionare in transitorio al di fuori dei parametri previsti (con conseguente extra produzione fuori controllo di sostanze inquinanti immesse in atmosfera).

Tuttavia, l'energia netta che essi producono è molto scarsa, i dati CEWEP (associazione europea costruttori di inceneritori) affermano che il rendimento elettrico medio è attorno al 15%, pertanto la maggioranza dell'energia recuperata se ne va in calore e in perdite, assai poco recuperabili anche utilizzando il teleriscaldamento (che in estate manco serve). L'incremento di rendimento termodinamico degli ultimi modelli moderni a griglia mobile (la tecnologia più utilizzata) è compensata dalle maggiori perdite dovute alla necessità sempre più stringenti di rispettare le normative sui fumi, con filtri multi-stadio in uscita (filtri a manica, elettrostatici, a precipitazione). Pertanto, anche nei modernissimi impianti di ultimissima generazione è molto difficile arrivare a rendimenti elettrici superiori al 20%.

L'energia netta prodotta è positiva solo se si considera nullo il costo energetico della produzione del rifiuto da cui è ricavata, si ignora inoltre completamente l'energia per ricreare gli stessi elementi che si fanno sparire incenerendoli, rendendoli tra l'altro non recuperabili per sempre. Per avere un ordine di grandezza su quanto in realtà "sprecano" energia anziché produrne, si può fare riferimento a questo post.

Considerazioni economiche

Gli impianti sono generalmente ad alta intensità di capitale e basso impiego di manodopera. Economicamente sono per definizione in passivo e si sostengono grazie ai Cip6, in piena violazione delle direttive normative in materia, che impediscono l'erogazione dei contributi "ecologici" a fonti che non sono rinnovabili. I contributi saranno riconosciuti, grazie alla nostra ministra Prestigiacomo, anche per tutto il 2009, sono soldi dei cittadini, e sono tanti, prelevati direttamente dalla bolletta dell'Enel (voce A3 pari a circa il 7% dell'importo medio versato al gestore elettrico).

Gli impianti di incenerimento sono molto costosi, possono superare abbondantemente i cento milioni di euro per impianti di piccola/media taglia. Ciò comporta un costo medio in italia per unità di rifiuto smaltita sulla soglia dei 100 euro a tonnellata. Riferito ad altre soluzioni di smaltimento finale più economiche come le discariche questo comporta inevitabilmente tariffe più elevate per i cittadini, i quali sono tenuti con il passaggio dal regime di tassa (tarsu) a tariffa a coprire completamente i costi vivi del servizio.

L'inceneritore di Forlì aperto recentemente è costato oltre ottanta milioni di euro, per 120.000 tonn/anno di capacità, quello di Brescia 300 milioni di euro. Si stima che alla fine della loro vita utile il costo consultivo sarà comunque molto maggiore, come per ogni grande opera tecnica costruita in Italia. Una spesa a mio parere sproporzionata rispetto al beneficio ottenuto. Federico Valerio da una sua analisi comparata dei costi dell'incenerimento.

Possiamo quindi affermare senza rischio di smentita che dal punto di vista economico, se non fossero finanziati surrettiziamente dai cittadini, nessun imprenditore sarebbe così folle da realizzarne uno in prospettiva di vedersi rivalutare il suo capitale investito, se non sovvenzionato dallo stato, quindi a debito pubblico.

Considerazioni sanitarie

Gli inceneritori sono classificati come impianti insalubri di prima categoria, pertanto ad essi vanno rivolte particolari attenzioni sotto il profilo sanitario e di impatto sul territorio. Gli studi epidemiologici sui danni provocati dagli effluvi ci sono e sono anche preoccupanti, specialmente per l'esposizione agli inceneritori delle generazioni precedenti, in cui sistemi di filtraggio non erano nemmeno paragonabili a quelli odierni. Pur tuttavia, i limiti delle emissioni sono sempre stati costantemente aggiornati al ribasso, in quanto i processi intrinsechi di combustione generano inevitabilmente composti tossici, spesso la cui pericolosità è stata in passato largamente sottostimata. Una raccolta di studi epidemiologici significativa è stato eseguito dalla dottoressa Patrizia Gentilini di ISDE.

In tempi recenti si è riscontrato che alcune sostanze possono essere attive anche a concentrazioni bassissime o infinitesime. Un esempio eclatante é rappresentato dalle temibili diossine PCDF/PCDD, per cui oggi esiste una normativa che limita a pochi picogrammi su metrocubo la loro produzione. Il grosso problema di queste normative è proprio che sono relative alla concentrazione nel volume dei fumi prodotti anziché al valore assoluto accumulato.

Questo, per sostanze in "bioaccumulo" come sono le diossine, per le quali non esiste in natura un processo di disgregazione se non in tempi lunghissimi, significa avere limiti che saranno sempre insufficienti nel medio-lungo periodo. Se sostituisco un impianto vetusto con uno di capacità doppia, ma che presenta una concentrazione di inquinanti dimezzata, al termine dell'anno avrò la stessa quantità accumulata di sostanza nociva, anche se dimezzare la concentrazione significa ricadere nei limiti di legge.

Il problema principale delle sostanze a "bioaccumulo" è che tendono appunto a concentrarsi in maniera esponenziale salendo la catena alimentare, per cui a Brescia, ad esempio, la concentrazione di diossine nel latte e altri derivati può raggiungere valori molto superiori ai limiti di legge, anche se la concentrazione nell'aria e nei suoli sembra sotto controllo. In molti casi a dire il vero ciò non è dovuto esclusivamente agli inceneritori ma anche alle altre industrie chimiche impattanti sul territorio, come per il caso Caffaro, tuttavia il principio di accumulo rende gli inceneritori i principali imputati proprio per questo tipo di sostanze.

Ulteriori motivi di estrema pericolosità, solo di recente parzialmente compresi, sono dati dalla produzione di nanopolveri da combustione, esse possono penetrare in profondità durante la respirazione e causare effetti infiammatori al di la della intrinseca pericolosità chimica degli elementi costituenti, in quanto tipicamente composte da aggregati a scala nanometrica di metalli pesanti. Questi composti sono tipici delle combustioni e non esistono filtri per eliminarli neppure parzialmente, inoltre sono tanto più pericolosi quanto più alta è la temperatura di combustione (al contrario delle diossine, la cui temperatura di dissociazione di legame è attorno ai 950°). Le ricerche in questo campo sono piuttosto recenti e portate avanti da ricercatori come Stefano Montanari.

Nessuno inoltre è in grado di stabilire cosa succede se si immettono (magari per errore) nell'inceneritore sostanze che non erano state previste in fase di progetto, ecco ad esempio cosa succede se i rifiuti sono contaminati con un carico di iodio.

Considerazioni gestionali

Gli inceneritori sono processi industriali ad alta intensità energetica e di capitale, hanno flussi in ingresso di materiali ma anche flussi di uscita. Per ogni tonnellata di rifiuto immesso si generano infatti 3 tonnellate di fumi (combinati con ossigeno e azoto prelevati dall'aria), 300Kg di ceneri pesanti da inertizzare, classificate come rifiuti speciali non pericolosi ma la cui salubrità pone notevoli dubbi, più 30Kg di "polverino", ceneri volatili estremamente tossiche che necessitano di essere smaltite in discariche speciali molto costose, tipicamente depositi geologici di salgemma, per evitare contaminazioni di acquiferi e suoli.

In Italia vige la pazzesca pratica di utilizzare esclusivamente mezzi su gomma per trasportare i materiali da e verso gli inceneritori, con conseguenti costi gestionali maggiorati, consumi energetici per autotrasporto ed inutile inquinamento aggiuntivo. In paesi come la Germania, si preferisce ovviamente utilizzare il treno per il trasporto di questi materiali, il cui costo energetico e gestionale è molto inferiore. Avete presente i treni che partono dalla Campania per gli impianti tedeschi ? Tra l'altro, all'interno di questi impianti avviene una parziale differenziazione, recuperando materie prime seconde e bruciando solo la parte non recuperabile, al costo di 400 euro/tonnellata forse potevamo farlo anche noi!

Come possiamo evitare di usarli

Se non voglio utilizzare una attività il cui unico effetto è nascondere gli effetti di una malattia, posso prendere in considerazione l'idea di curare davvero la malattia. Il che significa adoperarsi innanzitutto per ridurre i rifiuti prodotti, poi recuperare quanto possibile, poi riciclare i materiali, infine utilizzare trattamenti a freddo come alternativa all'incenerimento, ad esempio il compostaggio industriale e il TMB. I trattamenti a freddo hanno necessità impiantistiche che costano una frazione rispetto ai trattamenti a caldo, migliore efficacia, con un inquinamento incomparabilmente minore. Purtroppo danno meno lavoro alle ditte costruttrici in appalto, che sulle grandi opere (meglio se inutili) traggono sostentamento economico.

Il residuale di questi processi a freddo è tipicamente materiale già inerte che può essere spesso riutilizzato in maniera intelligente, come avviene in centri tipo Vedelago, oppure stoccato in discariche convenzionali, che ora necessiteranno di assai meno requisiti rispetto a quelle destinate al conferimento del "tal quale". Se rimane ancora qualcosa occorre premere sull'industria affinché modifichi i suoi processi produttivi.

Se una cosa non è riusabile, riparabile, smontabile, separabile, compostabile, recuperabile, l'industria semplicemente non dovrebbe più produrla, punto!

Un tassello intermedio di tutto questo sistema è rappresentato dalla raccolta domiciliare spinta, meglio se Porta a Porta. Lo stato dovrebbe infatti distribuire equamente sulla collettività (sul cittadino) il costo del lavoro di separazione, in proporzione a quanto rifiuto ognuno di noi produce, questo perché è proprio il cittadino che ha la possibilità (e tutto l'interesse) di premere affinché ciò che acquista abbia i requisiti per ridurre all'origine questo lavoro purtroppo necessario, che deve pertanto essere inteso come un dovere civico. Mi sembra un atto minimo di civiltà e di equità sociale lavorare per la sostenibilità ambientale. Se lo fanno a Friburgo, non si capisce perché non possiamo farlo anche noi.

Chi pensa che la tutela ambientale abbia un costo, ha ragione, questo costo possiamo esternalizzarlo (cioè farlo pagare alla gente più disperata sotto forma di degrado ambientale) oppure possiamo tenerne conto e distribuirlo equamente, non si può però affermare che i costi della raccolta differenziata sono insostenibili, perché questo semplicemente non risponde al vero.

Foto: Inceneritore di Vienna, colorato per sembrare più tranquillizzante.
Approfondimenti: Inceneritori su Wikipedia

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