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venerdì 1 luglio 2011

Conad di ponte abbadesse, il monumento allo sviluppo (dei rifiuti)

A ponte abbadesse di Cesena è nato un nuovo supermercato (Conad), "opportunamente" posizionato a pochi metri sia dal cimitero monumentale che da un convento di clausura, in piena violazione dei vincoli cimiteriali. Sarà mitigato da qualche albero in più (che ancora non si vede) anzichè da una opportuna distanza di rispetto dai luoghi di culto e di preghiera. 

Colta di sorpresa fra il sacro e il profano, la popolazione è pertanto divisa, conad si oppure conad no ?

Nel frattempo, l'imponente costruzione di cemento grezzo e acciaio, con annesso parcheggio a raso, è stata inaugurata ieri, ma solo stamattina sono riuscito a farci un salto per verificare di persona cosa hanno combinato.

Sgombriamo il campo da ogni possibile equivoco, il posto è davvero brutto, delirante di asfalto, con qualche sparuta strisciola d'erba e una scritta gigante al neon che grida vendetta ben visibile appena si esce dal cimitero. Insomma, per mitigarlo davvero, più che qualche alberello ci vorrebbe una mezza foresta ad alto fusto trapiantata di peso dai boschi dell'appennino casentinese!

Quello che più mi ha colpito, al di la dell'aspetto estetico comunque opinabile, è il peggioramento del servizio dal punto di vista della produzione dei rifiuti.

Ho visto in prima persona singole fettine di formaggio imballate e prezzate, disposte in perfetto ordine al banco frigo.

Al conad cittadino precedente (prima del trasferimento), che frequentavo essendo vicino al mio posto di lavoro, ero d'uso chiedere che mi facessero dei panini, indicandone il contenuto. La cordiale signorina gentilmente affettava il pane, pesava gli affettati, componenva il panino, e lo forniva con un singolo imballaggio indicando il prezzo totale. Veloce, comodo, pratico.

Ciò non è più possibile, devi prima passare a prendere il pane al reparto pane (meno di due metri a fianco dello stesso bancone, ma mi hanno spiegato che commercialmente è come se fossero su due pianeti diversi), poi passi alla fila per gli affettati. Il pane non lo possono più aprire... (al massimo te lo facevi tagliare in anticipo dall'altra addetta), quindi il contenuto va acquistato separatamente e ogni cosa imballata singolarmente.

Alle mie rimostranze rispetto a questa palese assurdità, moltiplicatrice di sprechi e di imballaggi, mi sono sentito rispondere con un laconico: "nuove norme igieniche imposte dall'alto" (non si sa se intendesse direzione conad, ausl, o chi per loro). 

Quindi niente più panino, oppure esci fuori, armeggi su una panchina davanti al cimitero, butti le cartacce (dove sono i bidoni?) e te lo fai da solo!

In compenso, hanno il vino sfuso alla spina che costa pochissimo (ma il contenitore lo devi prendere da loro).

Questa non è evoluzione del commercio, è regredire all'età della pietra... rivoglio il vecchio negozio sottocasa, quello che se al commesso gli scappava una fetta in più di quanto gli avevi chiesto, con un sorriso talvolta non te la faceva nemmeno pagare.

venerdì 5 dicembre 2008

Intervista a Stefano Montanari, scienziato delle nano patologie

Stefano Montanari è uno scienziato italiano, ricercatore e studioso di nanopatologie. Risiede a Modena dove è direttore scientifico del laboratorio di ricerca modenese Nanodiagnostics, presieduto da sua moglie Antonietta Gatti (scopritrice delle nanopatologie). Redige un blog personale molto curato in cui si interessa non solo di scienza e ambiente ma anche di politica. E' fondatore di una lista civica nazionale che si chiama "Per il bene comune", con la quale si è presentato alle scorse elezioni, caratterizzata da una marcata impronta di carattere ambientale.


Dottor Montanari, cosa sono le nano patologie?

Le nanopatologie sono patologie indotte dall'ingresso di polveri estremamente sottili nell'organismo umano o animale. L'uomo le assimila, ad esempio, sotto forma di smog e di esalazioni (industriali e di inceneritori). La questione è rilevante perché queste sostanze conducono a cancro, infarto e ictus e si trasmettono da madre a feto.


Quando si parla di combustioni legate ai rifiuti è corretto parlare di termovalorizzatori?

No assolutamente no. Il termine termovalorizzatore non è corretto, è un'invenzione.Un inceneritore non valorizza nulla. Pensi che per ogni tonnellata di rifiuti che entra in un inceneritore ne vengono prodotte due sotto forma di ceneri, di gas ma anche sotto forma di acqua, ammoniaca, calce e bicarbonato. Non solo non si riducono i rifiuti ma il risultato della combustione è ancora più tossico di quanto è entrato. Il danno, capirà, non è solo per l'aria ma per tutto l'ambiente.


Qual è una alternativa possibile?

Dobbiamo partire dall'assunto che il rifiuto è un problema. Bisogna ragionare nell'ottica del minor danno. Sicuramente riduzione e recupero sono due attitudine corrette.Pensi che mandando in un inceneritore una bottiglia di plastica otteniamo, in energia, un centottantesimo di quella spesa per portare il prodotto finito sulla nostra tavola. I passaggi sono l'estrazione della materia prima, la lavorazione, l'imballaggio e la spedizione. Se io riuso solo una volta quella bottiglia faccio novanta volte meglio.


Ha parlato talvolta di gestione degli imballaggi. Cosa ne pensa?

Penso che siano uno spreco e come tali dovrebbero essere razionalizzati con leggi che li proibiscono o li limitano come succede già in Germania. In merito mi viene da pensare al Tetrapack. Un altro mito da sfatare è che può essere reciclato. Il tetrapack è costituito da quattro materiali saldati insieme. In teoria dovrei scinderli. Ammesso che fosse possibile sarebbe un grosso dispiego di tempo e di energia.


giovedì 16 ottobre 2008

Meglio ridurre il rifiuto oppure aumentare la RD ?

In questo interessantissimo e ben documentato articolo di Terenzio Longobardi Ridurre o differenziare i rifiuti, si analizza l'effetto relativo comparato che si avrebbe adottando politiche di riduzione alla fonte degli imballaggi piuttosto che politiche di incremento della raccolta differenziata. La tesi in breve parte dalla constatazione che abbiamo raggiunto una sorta di PICCO dell'imballaggio, vuoi grazie alla recessione economica, vuoi per il fatto che imballare le merci più di così è oramai impossibile, pertanto se ne deduce che (alla luce della situazione consultiva attuale fornita dagli enti di monitoraggio) la via di incrementare il riciclo appare più promettente che il ridurre il solo imballaggio alla fonte, a parità di effetto voluto. Ciò indicherebbe un diverso ordine di priorità, che vedeva classicamente la riduzione alla fonte come preferibile.

Mi sento in parziale disaccordo con le conclusioni dell'articolo, secondo il quale una politica di riciclaggio (almeno degli imballaggi) è preferibile rispetto ad una politica di riduzione alla fonte.

Facendo riferimento ai dati APAT limitati alla regione Emilia Romagna, si scopre ad esempio che malgrado un aumento negli ultimi 10 anni della RD dal 10% al 40%, la produzione dei rifiuti è comunque aumentata da 2,2 milioni di tonnellate a 3 milioni di tonnellate in totale, lasciando la quota smaltita in discarica pressochè inalterata negli ultimi 5 anni. Ciò è dovuto a molteplici fattori, primo fra tutti il fatto che la RD spesso è gonfiata grazie agli assimilati, oltre al fatto che non tutta la RD viene effettivamente riciclata (i sovvalli tornano in discarica o vengono inceneriti).

Pertanto oggi in Emilia Romagna, regione virtuosa, si raccoglie il 40% di RD ma in discarica arriva pressochè uguale a prima, poiché l'aumento annuale di produzione "mangia" più o meno esattamente l'incremento di efficienza avuto nella RD.

Ora, sappiamo che passare dal 10% al 30% di RD è senz'altro più facile e meno costoso che passare dal 40% al 60%, prevedo pertanto che oltre a un PICCO della produzione dei rifiuti ci sarà un PICCO nella percentuale media di raccolta differenziata.

Ergo, se non riduciamo i rifiuti alla fonte non riusciremo a ridurre in futuro ciò che realmente importa, cioè lo spreco energetico dovuto alle discariche ed agli inceneritori. In altre parole, ammesso e non concesso che oggi, in termini di spesa e risultato atteso, risulti più efficiente lavorare sulla RD, da domani ciò potrebbe non esserlo più. Sicuramente non lo sarà mai perseguendo politiche industriali rigide come quelle che propone oggi Hera, le quali difficilmente senza ricorrere alla raccolta domiciliare riusciranno a superare il 50% di raccolta differenziata, non importa quanto investimento in denaro si possa fare su di essa.

La priorità deve essere pertanto RIDUZIONE FIRST! Accompagnata da politiche di raccolta domiciliare a bassa intensità di capitale ed alta intensità di manodopera, come il porta a porta appunto.

martedì 25 marzo 2008

Il trasporto delle merci, cerchiamo di capirci qualcosa

Un camion tir per muoversi costa, ad un’azienda italiana, in media 1 euro e 30 centesimi al km. Il dato (Fonte: Trasportale) è riferito ad un veicolo di 5 assi con rimorchio con una vita media di 6 anni e una percorrenza media di circa 100 mila km/anno su territorio nazionale. In questo € 1,30 si comprende un po’ tutto, il costo di ammortamento del trattore e del semirimorchio, il costo dell’autista (oltre 45.000 euro l’anno), il costo dei pneumatici (quasi 10.000 euro), i costi di assicurazione base (RCA e Incendio e furto che variano moltissimo da città a città e che crescono man mano che si scende da nord a sud), i costi di manutenzione di un autoarticolato che tra ricambi, manodopera e lubrificanti pesa su un’azienda per oltre 8.000 euro, il costo della tassa di possesso, i pedaggi autostradali (stimati in circa 10.000 euro l’anno) e infine il costo del carburante, la voce che più oscilla all’insù ovviamente con i quasi 30.000 euro l’anno.

Vale la pena di fare girare tutti questi camion, con i rincari di carburante in atto, per trasportare la merce che compriamo nei negozi ? Facciamo due calcoli:

Un camion tir moderno di taglia media trasporta all'incirca 10 tonnellate.

Consideriamo un consumo medio di 3Km/litro di gasolio, sono 10 tonnellate trasportate per 3Km impiegando un litro, equivalenti a 30 tonn/km per litro.

Mettiamo pure che il gasolio per autotrazione costi, esageriamo, 1,5€/L. Trasportare 30 tonn per un km costa quindi circa 1,5€, usando esattamente un litro di carburante.

Una tonnellata trasportata (1000Kg) costerà pertanto circa 1,5/30 = 50 cent al Km.

Prendiamo allora una bottiglia di ketchup, e trasportiamola da Parigi a Roma (Circa 1500Km), supponiamo che il barattolo pesi circa 100gr circa. In una tonnellata di carico ci stanno circa 10.000 barattoli di ketchup, che a 0,05€/km, per 1500Km, fa grossomodo 0.0,5*1500/10000 = 0.0075 € al barattolo.

Massì, arrotondiamo ancora per eccesso, rimaniamo comunque su 1 cent al barattolo per portarlo da Parigi a Roma.

Adesso capite perché consumiamo combustibili a ritmo così forsennato e sembra non importi niente a nessuno ? Quel cent in più, vi ha permesso di avere un barattolo di ketchup magari sfornato da una industria cecoslovacca, la quale produce lo stesso barattolo alla metà del prezzo che un produttore nostrano si potrebbe permettere. Ciò genera un business pazzesco, con conseguente invasione nelle nostre tavole di merci provenienti dagli angoli più disparati della galassia conosciuta!

Se questi sono i fatti, l'idea di chi dice che per scongiurare il disastro dell'esaurimento delle risorse occorre rifornirsi esclusivamente con prodotti locali che nascono e crescono dalle nostre parti, rimane semplicemente risibile, per appena qualche centesimo in più posso farle arrivare da tutto il mondo! Con buona pace di chi crede nel carattere etico dei GAS.

Supponi infatti che per ottenere lo stesso bene tu debba prendere la tua auto e fare 10 Km per andare alla fattoria in periferia a rifornirti, consumeresti un mezzo litro di carburante, che diviso sui prodotti che hai portato a casa potrebbe risultare non qualche frazione di centesimo ma decine di centesimi. La tua efficienza di trasporto può essere fino a 100 volte inferiore, se viaggi solo per pochi prodotti e non per intere tonnellate di merce, pertanto avresti fatto meglio ad andare a piedi o in bici al mega-ipermercato sotto casa e comprare la stessa cosa, avendo consumato molto ma molto meno carburante, e magari era comunque un prodotto bio.

L'energia è troppo conveniente, così tanto conveniente che l'impatto ambientale di prendere un barattolo di ketchup (o di yogurt fa lo stesso) e fargli fare il giro del pianeta per arrivare fino a casa tua non vale la spesa del km in più che potresti percorrere per andare a comprarlo dove sai che è più buono, a pochi km di distanza.

Considera poi che per parecchi generi alimentari che necessitano di cottura, l'energia che serve per cucinarli è di un ordine di grandezza superiore a quella richiesta per portarteli dal produttore fino al supermercato sotto casa.

Pertanto, in un futuro dove il prezzo dell'energia per la mobilità individuale diventerà insostenibile, piuttosto che rinunciare ad avere un frutto fuori stagione, l'impatto si ridurrebbe assai di più semplicemente andando a vivere vicino ad un ipermercato.

Supponiamo che il costo del barile quadruplichi, certamente ogni merce di scarso peso unitario aumenterebbe di qualche centesimo di euro. Davvero un aumento spaventoso...

Sembra un paradosso, ma davvero l'energia straconveniente (che abbiamo anche tuttora con i famigerati 100$ al barile) porta a questi nefasti e paradossali effetti, tutti piangono ma nulla cambia, e si finisce per consumare sempre di più per ribadire il nostro effimero benessere.

Ma c'è il rovescio della medaglia, qualcosa che non abbiamo considerato, tutto cambia se introduciamo nel computo tutta una serie di costi occulti.

Quel barattolo di ketchup, contiene molta meno energia di quella che è stata necessaria per realizzarlo, abbiamo una economia (soprattutto quella agricola) completamente schiava del petrolio, se è vero che il trasporto dello stesso non avrà grosse incidenze sul costo, lo stesso non si può dire della coltivazione di pomodoro che necessita di fertilizzanti chimici e di trattamenti intensivi, gran parte dei quali derivati dal petrolio, così come anche la bottiglia di plastica per contenerlo, gli imballaggi, etc.etc., tutte cose in carbonio che tra l'altro incrementano l'effetto serra se bruciate.

Se continuiamo così, finiremo arrostiti per eccesso di gas serra ed il clima potrebbe diventare devastante ed incompatibile con la vita, i ghiacciai sciogliersi ed avere una crisi mondiale idrica. L'arrivo del picco del petrolio non cambierà il nostro stile di vita occidentale, ma creerà certamente più divario fra chi potrà continuare a permetterselo e chi no... avete presente la sensazione di impoverimento del ceto medio ? Ed avete presente quanti SUV circolano ancora in giro pur con i rincari di carburante ? Chi è ricco lo diventa di più, per pararsi il culo dalla crisi, chi è povero lo diventa sempre di più, perché rinuncerà al superfluo sempre più a malincuore.

In conclusione, fate pure i vostri calcoli, non comprate localmente perché costa meno o inquina meno ma solo ed esclusivamente per motivi etici, poi però andate al negozio a piedi o in bicicletta, mi raccomando! Se devastare l'ambiente alla fin fine costa poco, ciò non è di per se un buon motivo per farlo. E rifiutate con sdegno chi vi vende più imballaggi di prodotto, mi raccomando!

lunedì 25 giugno 2007

Risposta da Tetrapak Italia

Il nostro articolo sul tetrapack pubblicato sul blog del miz il 18 giugno scorso ha ricevuto la cortese risposta dell'ufficio stampa di Tetrapak Italia, per dovere di correttezza riportiamo quanto scritto dalla sig. Maria Grazia Attianese in forma integrale:

Gentile Barbara,
Quello del riciclo dei contenitori Tetra Pak è un tema di cui si deve parlare: oggi non possiamo più prescindere da comportamenti virtuosi quali la separazione ed il recupero dei rifiuti. Siamo quindi soddisfatti che questo tema sia entrato fra gli argomenti del vostro movimento e desideriamo dare il nostro contributo, con l’unico obiettivo di informare i cittadini dei progressi fatti nella raccolta differenziata dei cartoni per alimenti in Italia. La campagna di comunicazione che è in onda in questi giorni ha lo stesso scopo: informare, porre l’attenzione sul fatto che queste confezioni hanno una matrice rinnovabile, la cellulosa, che proviene da foreste sottoposte ad un programma di tutela. L’utilizzo di fonti rinnovabili è ormai una necessità riconosciuta a livello mondiale ed è importante diffondere questa cultura nell’opinione pubblica. Venendo alla raccolta differenziata dei cartoni per alimenti, segnaliamo innanzitutto che la normativa vigente attribuisce ai Comuni la responsabilita’ della raccolta differenziata dei rifiuti. Sono i Comuni a scegliere il sistema di raccolta piu’ idoneo, valutando le caratteristiche urbanistiche, sociali ed economiche nonché le realtà impiantistiche presenti e disponibili a ricevere e valorizzare le frazioni oggetto di raccolta differenziata. Cio’ ha prodotto in Italia un panorama gestionale decisamente variegato, in cui ad esempio ci sono realta’ che effettuano la raccolta della frazione organica dei rifiuti (la cosiddetta raccolta dell’umido) ed altri che non hanno attivato tale servizio, comuni dove le lattine si raccolgono insieme al vetro e altri dove vengono raccolti con la plastica, comuni che prediligono la raccolta multimateriale ed altri dove e’ presente la raccolta monomaterile spinta. La scelta di operare con un sistema di raccolta piuttosto che un altro non ha quindi un legame diretto con la riciclabilita’ o recuperabilita’ di un rifiuto. I cittadini pertanto hanno la possibilita’ di raccogliere in maniera differenziata un rifiuto riciclabile in funzione del sistema adottato dal proprio Comune. Il riciclo del cartone per alimenti non richiede “accordi di smaltimento particolari” ed e’ una realta’ oggi per oltre 15 milioni di italiani, distribuiti in oltre mille comuni. Il sito web di Tetra Pak Italiana – www.tetrapak.it - alla pagina “Protezione integrale” elenca tutti i comuni in cui è possibile fare questa raccolta e tra questi spiccano citta’ come Roma, Milano, Torino, Firenze. Dal 2002 ad oggi per fortuna i numeri della raccolta differenziata dei cartoni per alimenti che lei ha citato sono cambiati: nell’anno 2006 il 50,3% dei cartoni per alimenti immessi al consumo in Italia – circa 5 miliardi - sono stati recuperati e riciclati. Risultato che si avvicina moltissimo a quelli raggiunti da altri rifiuti di imballaggio e la cui raccolta e’ una realta’ consolidata gia’ da molti anni. E’ vero pero’ che in molti Comuni italiani, ed in Romagna in particolare, questa raccolta non e’ attiva. Ma confidiamo possa esserlo presto! Grazie al protocollo d’intesa con Comieco siglato nel 2003 e volto a diffondere la raccolta differenziata del cartone per alimenti, tante sono ormai le cartiere che riciclano il cartone per alimenti insieme alla carta e molti sono gli Enti di programmazione e controllo della gestione dei rifiuti che invitano i Comuni ad adottare questa raccolta. Tra questi l’Osservatorio Rifiuti della Provincia di Bologna, che nel proprio Rapporto 2005 evidenziava come “la raccolta dei cartoni per bevande rappresenta una concreta opportunita’ per incrementare i quantitativi di raccolta differenziata e conseguentemente ridurre gli smaltimenti in discarica.” Concordiamo con lei sul fatto che non sia appropriato raccoglierli separatamente ma le assicuriamo che una volta raggiunto il cassonetto opportuno non proseguono verso un termovalorizzatore. Restiamo a Sua completa disposizione per approfondire ulteriormente questi temi e per rispondere su eventuali dubbi.

-- Maria Grazia Attianese, ufficio stampa di Tetrapak Italia.

Ringraziamo Tetrapak italia per averci chiarito le posizioni dell'azienda, verificheremo e vigileremo affinchè i protocolli di corretto smaltimento di questa tipologia piuttosto "difficile" di rifiuti siano sempre presi in seria considerazione da parte delle amministratori locali, trattandosi di una parte rilevante del totale dei rifiuti prodotti da imballaggio. Come movimento, desideriamo porre l'attenzione su come a nostro parere sia opportuno realizzare, su scala nazionale e non lasciando l'iniziativa ai singoli comuni, direttive e metodologie condivise su come trattare questi particolari tipi di materiali. I "poliaccoppiati" come il tetrapak non sono carta, non sono alluminio, non sono plastica, ma sono una particolare combinazione a strati degli stessi che necessitano di attrezzature specializzate per essere correttamente smaltiti. Una corretta strategia di differenziazione deve essere eseguita in sinergia con una corretta tecnologia di smaltimento, altrimenti si rischia di differenziare qualcosa che poi non è realmente riutilizzabile dal mercato come materia prima secondaria. A nostro parere Tetrapak stessa dovrebbe in prima persona spingere sulle amministrazioni per adottare globalmente tali strategie, solo successivamente vantarsi di promuovere l'utilizzo a larga scala di un prodotto vantandone le intrinseche caratteristiche ecologiche.